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  • Immagine del redattoreSara Pietrini

Dante tra medioevo e contemporaneità



Alla fine del 2020 il medievista italiano Alessandro Barbero ha pubblicato il libro “Dante”, narrante la vita del celebre autore e attraverso una ricerca documentaria ampia e rigorosa, l’analisi dei documenti notarili e delle sue opere letterarie, si sofferma, più che sull’illustre letterato, sull’uomo del Medioevo.


Avvicina i lettori gradualmente alla storia personale di Dante Alighieri, permettendo loro di comprendere meglio i complessi meccanismi che dominavano la società fiorentina tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento. La scelta di Barbero è ricaduta volutamente su Dante proprio perché rappresenta appieno l’uomo medioevale, partecipe nella vita politica, ma, a differenza dei suoi contemporanei, ha lasciato molteplici tracce in atti notariali, verbali di consigli comunali, riportando anche numerosi riferimenti biografici, di persone realmente esistite, nelle sue opere letterarie.


In un’intervista tenuta il 20 gennaio in streaming per la rassegna “il volto delle parole” con il giornalista Corrado Augias, Barbero, ha annunciato che il suo nuovo libro è in corso di traduzione anche in Inghilterra e in Francia, oltre che in parecchi altri paesi. Ha inoltre aggiunto che sia l’editore inglese che l’editore francese, gli hanno fatto le stesse singolari richieste: inserire la spiegazione del contesto storico e un’introduzione su Dante, sulla “Divina Commedia” e sulla sua importanza nella letteratura mondiale. Quest’ultima lo ha particolarmente sorpreso, ma anche rallegrato, poiché in Italia non avere la minima idea di chi sia Dante risulta impensabile. Difatti, tutti noi sin da piccoli abbiamo udito tessere le lodi di questo grande poeta. Ciò non avviene invece negli altri Stati, dove le persone lo hanno sentito citare, ma non ne conoscono la effettiva rilevanza. Questo si spiega con il fatto che spesso come autore non viene incluso nel curriculum scolastico, ma solo accennato per cultura generale. Un esempio è proprio la Francia, dove non è tra gli argomenti comunemente insegnati, seppure in questo stato siano sorti gruppi di letterati appassionati, tra cui la rinomata Jacqueline Risset, traduttrice della Divina Commedia in francese. Oggigiorno ci sono diverse versioni dell’opera dantesca, talvolta contraddittorie tra loro.


Anche la scarsa acquisizione di informazioni, nei paesi esteri, sulla particolare condizione storica in cui si inserisce Dante si può facilmente intuire: sia in Inghilterra che in Francia nel XIV secolo vigevano delle dinastie regnanti che avevano unificato il paese, erano dunque estranee ai conflitti trai comuni e alle battaglie tra guelfi e ghibellini che affliggevano l’Italia medievale.


Dovendo scrivere due introduzioni diverse, adattandosi alle esigenze di ciascun editore, Barbero si è ricordato di Primo Levi che nel fango di Auschwitz recita a memoria Dante a Jean, un internato alsaziano che per nascita conosceva bene sia il francese che il tedesco ma che voleva imparare l’italiano. Jean nel campo di concentramento aveva il ruolo di “Pikolo”, pertanto doveva portare la pesante pentola del rancio, aiutato da Levi, che per far conoscere la sua lingua gli recitava il canto XXVI, ossia il canto in cui Dante incontra Ulisse che per incitare i marinai a superare le colonne d’Ercole allo stretto di Gibilterra , l’invalicabile confine del mondo conosciuto, dice “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” ma poi un turbine di vento investe la nave, che fa naufragio.


Lo scrittore si sofferma proprio su questo canto innanzitutto perché Ulisse è un simbolo della sete di conoscenza, ma anche dell’ambizione che lo ha portato nell’ottava infernale bolgia tra i consiglieri fraudolenti, coloro che usarono l'intelligenza per ingannare i propri simili. Ulisse, però, rappresenta anche il bisogno dell’uomo di usare la ragione, di riscattare la propria identità attraverso il sapere e la cultura. Ricordare il canto di Ulisse è servito a Levi per ritrovare la speranza per un destino migliore, per avere la possibilità di tornare a sentirsi uomo, condizione che a loro nel campo di sterminio era negata. Un’altra ragione che ricollega Ulisse al ruolo di prigioniero è l’immagine di chi è affogato, di chi è stato sommerso, e di chi, invece, si è salvato. Il canto XXVI racconta di un naufragio, uno dei pochi se non l’unico, nella letteratura, che Ulisse narra in prima persona, descrivendo il momento in cui ha visto la superficie marina chiudersi sopra di sé mentre annegava. Questa consapevolezza diventerà per Levi fondamentale nel modo in cui percepirà le esperienze di vita successiva. Auschwitz viene inteso come lo spartiacque tra quelli che si vedono richiudere il cielo di sopra, sommersi dalle acque, annientati, e gli altri, che, al contrario, sopravvivono sentendosi per questo irrazionalmente responsabili. La sua lettura dell’esperienza dei lager sarà sempre improntata a questo senso di colpa per essere uno di quelli che non sono affogati, un sopravvissuto, quasi a sentirsi un reo privilegiato, ma senza particolari meriti, senza una ragione plausibile.


Allo storico Barbero è affiorata così questa analogia: come Levi cercava di spiegare ad Auschwitz la Commedia al “Pikolo”, così lui si era ritrovato a raccontare del perché Dante è importante quanto Shakespeare agli inglesi. Per raggiungere i lettori stranieri, l’autore ha preferito citare alcuni poeti e scrittori loro connazionali, tra cui Thomas Eliot, il quale sosteneva che Dante e Shakespeare si dividevano il mondo moderno e non c’era spazio per un terzo, o James Joyce, per il quale c’erano Dante e la Bibbia e tutto il resto era zavorra.


Nonostante il pubblico medio non consideri pienamente la figura dell’Alighieri, è importante ricordare che in ogni paese c’è sempre stata un’élite appassionata. Pensiamo ad esempio a Anna Achmatova e Osip Mandel'štam, poeti russi del Novecento, che avevano addirittura imparato l’italiano per leggere le sue opere. Mandel'štam scrisse un libro su questo poeta, mentre la Achmatova affermò che non faceva altro che sfogliare le composizioni del celebre autore italiano. Ma anche nelle singole università esistono gruppi di dantisti che si riuniscono per leggere (talvolta persino in italiano), commentare e discutere le opere di Dante. Anche attori famosi come Benigni, Gassman, hanno recitato i canti facendo entusiasmare un’ampia platea.


Poiché negli altri stati non si insegna abitualmente la storia medievale italiana, risulta difficile tradurre anche parole per noi quotidiane come “comune”. Barbero ci espone questa sua esperienza, riferita soprattutto alla edizione inglese. Infatti il suo editore straniero non riusciva a tradurre tale parola. Era incerto se usare city-state (“città-stato”) o republic (“repubblica”), che potrebbero andare bene, ma al nostro orecchio stridono perché non hanno il medesimo significato, risultando termini con connotazioni molto diverse. Un esempio analogo è “podestà, reso con supreme magistrate, ossia “magistrato supremo”.


Ma non solo è complicato trasporre in un altro idioma i termini specifici, ma anche descriverli in modo tale che il pubblico lo intenda chiaramente con lo stesso significato che assume nella sua terra d’origine. Occorre, dunque, creare delle analogie comprensibili ai lettori. A questo scopo, durante le sue lezioni, il professore spiega i Comuni come delle organizzazioni dei cittadini, che si considerano come una comunità politica, aventi una loro amministrazione; non sono altro che i comuni che abbiamo ancora oggi. È la stessa istituzione che è nata nel Medioevo e non ha mai smesso di funzionare; può aver cambiato prerogative, terminologia, ma l’istituzione è la medesima. Tant’è vero che in molte città se sono richiesti i verbali del Consiglio Comunale, come nel XIV secolo, si cercano proprio nell’archivio comunale. Oppure si pensi al fatto che il palazzo comunale in certe città è rimasto lo stesso, fin dal tempo di Dante, come per esempio Palazzo Vecchio a Firenze, ancora sede del Municipio. Convinto che anche nelle altre nazioni esistessero delle amministrazioni comunali, ha illustrato il Comune come un “city council” che amministra la città. Ma Allan Cameron, amico ed editore inglese di Barbero, ha commentato che sono cambiate talmente tante volte le organizzazioni amministrative che non è affatto scontato che ci sia un city-council, che anzi alcuni centri urbani che non ce l’hanno. Uno scenario singolare per noi che siamo abituati ad identificare ogni nucleo abitato con un Comune, organizzato secondo linee simili. E invece altrove è diverso. Certo ci sono stati, come la Francia, suddivisi in borghi con i loro consigli comunali come l’Italia, tuttavia non è una realtà assodata o uniformemente distribuita.


Le diversità tra i Paesi europei sono il risultato di una stratificazione di differenti modi di organizzare la Pubblica Amministrazione che sono rimasti nei secoli, di assetti politici diversi che hanno influenzato il territorio e gli strati sociali.


Nell’intervista si è aperto un interessante dibattito sempre sul tema della Commedia. È stato chiesto infatti al professore di storia, ma anche al suo intervistatore Augias, perché l’opera sia così conosciuta e apprezzata. Entrambi hanno concordato che a renderla coinvolgente siano i personaggi che, con le loro pene (per l’Inferno e per il Purgatorio) e le loro storie, incantano il lettore, commuovendolo ed emozionandolo. In particolare, la prima cantica affascina per i suoi orrori che, come insegnano la cronaca, i mass media con i loro sanguinosi fatti, la storia, ma anche i miti, il teatro della tragedia greca, mettono in scena i drammi epici dell’umanità e che hanno la capacità non solo di intrigare, ma anche di respingere. Difatti, tanto più è grande l’orrore o lo sdegno, tanto maggiore e grave è il peccato e il giudizio negativo ad esso associato. Nel Medioevo, riprovevoli erano soprattutto la corruzione del potere politico, o ecclesiastico, tema ancora attuale in tutte le società, particolarmente sentito in Italia. Nel Purgatorio, invece, seppur le pene siano sempre presenti, i personaggi intravedono già la salvezza del Paradiso, pertanto viene meno la tragedia infernale che tanto ci ammalia, sebbene alcune anime che Dante incontra abbiano un destino crudele. Un esempio è Manfredi di Svevia, nipote dell'imperatrice Costanza d'Altavilla, collocato tra i contumaci dell’Antipurgatorio, poiché morto prematuramente in battaglia mentre era ancora nella posizione di scomunicato. Pur essendosi pentito per i suoi crimini, per questa sua condizione è costretto ad una infinita attesa. Nonostante la sua sorte, chiede a Dante di ricordare alla figlia di pregare per lui affinché possa entrare nel Purgatorio e salvarsi. La visione del poeta è dunque di una salvezza data dalla teologia e dalla penitenza: chi si pente può raggiungere con il tempo la redenzione. Questo è il motivo del nome “Commedia” che denota un finale lieto: l’opera parte dalla selva oscura in cui si è smarrita la strada, prosegue poi attraverso gli orrori dell’Inferno, la remissione dei peccati attraverso l’espiazione, ma si conclude con la visio Dei in Paradiso, dove “l’Amore muove il sole e le altre stelle” dell’amore divino che regola universalmente il mondo e la vita.


Tuttavia è proprio quest’ultima cantica che, secondo Augias, concentra il punto debole di Dante: la sua obbedienza alla filosofia Scolastica, modalità di pensiero oggi estinta. Per Barbero la visione del cosmo della Scolastica non è da sottovalutare in questo modo. Essa infatti presupponeva che il mondo fosse razionale, poiché Dio aveva dato all’uomo la ragione per conoscere l’universo. Se per il giornalista Dante era schiavo di una modalità di pensiero legato alla teologia, al contrario i suoi successori, tra cui Shakespeare, erano più liberi. Eppure, è doveroso specificare che pure questi ultimi dovevano sottostare ai dettami della società del loro tempo e, benché potessero farsi un’idea progressista di come era costituito il mondo, non avevano una totale libertà di espressione.


I canti preferiti nell’Inferno sono due: il quinto e il ventiseiesimo, rispettivamente i canti di Paolo e Francesca e di Ulisse. Del primo affascina la storia di amore che porta poi a un delitto d’onore da parte di Gianciotto Malatesta, fratello di Paolo e marito di Francesca, atteso nel nono cerchio, nel quale sono puniti i traditori dei parenti. Questo canto, spogliato di ogni nobiltà poetica, si trasforma in un racconto poliziesco romanzato di un adulterio seguito da un omicidio violento. Un dramma che ci tocca e ci attrae non solo perché è un’opera di alto valore stilistico e letterario, ma anche perché tutte le persone inserite nelle cantiche sono comuni e genuine oppure, come nel caso di Ulisse, personaggi simbolici, che incarnano ideali della cultura classica, che ancora animano le nostre coscienze. Viene quindi spontaneo immedesimarsi in loro.


Infine, bisogna aggiungere che il Paradiso contiene una poesia sublime, una speculazione teologica complessa e presenta meno pagine vistosamente emotive rispetto all’Inferno e al Purgatorio che hanno più pagine fruibili in modo immediato e comprensibili, senza doverne approfondire anche il contenuto filosofico, nonostante ogni cantica presenti tutti i tre registri stilistici (aulico, elegiaco e basso), le prime due risultano le più conosciute e apprezzate.



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