Più di cento presenze nella nazionale inglese, diciotto mesi fa approda alla Juventus e, con la maglia numero 9, diventa capocannoniere nella stagione passata, vincendo il campionato, la Coppa Italia e la Supercoppa.
Eniola Aluko dal nostro paese ha ricevuto tanto a livello professionale, ma questo non è bastato. La calciatrice ha deciso di lasciare l’Italia un anno e mezzo prima della fine del suo contratto, e questo perché? Perché Eniola, che è nigeriana, non riesce più a sopportare il clima fuori dal campo e dal club.
Il 28 novembre, poco prima del suo ultimo match con la squadra torinese contro le fiorentine, la Aluko pubblica una lettera su The Guardian in cui scrive: “Torino sembra essere un paio di decenni indietro in termini di apertura a diversi tipi di persone. Mi sono stancata di entrare nei negozi e sentirmi come se il proprietario si aspettasse di vedermi rubare. Succede così tante volte di arrivare all’aeroporto di Torino e trovi i cani antidroga annusarti come se fossi Pablo Escobar”.
Così, la giocatrice tornerà a Londra e chiuderà definitivamente il capitolo Italia, ma qui, in Italia, il capitolo Aluko non è stato nemmeno aperto. Nessuno, né del mondo dello sport né della politica si è espresso riguardo la sua lettera pubblicata sul quotidiano inglese, e nessuno lo farà, perché Eniola Aluko è donna ed è nera, a nessuno importa se gioca bene a calcio, perché tanto le donne non sanno giocare a calcio.
L’unica a dire qualcosa a riguardo è stata Chiara Appendino, sindaca di Torino, che ha dichiarato che “Torino non è così”. Ma la Aluko non parla solo del razzismo a Torino e, benché difenda a spada tratta il calcio femminile, il suo club e i suoi tifosi, afferma che “c’è un problema in Italia e nel calcio italiano ed è la risposta che mi preoccupa davvero, dai proprietari ai fan nel gioco maschile che sembrano vederlo come parte della cultura da fan.”
Sono parole forti, è un forte segnale, dato da una persona che ha costruito una carriera con la palla al piede, eppure nessuno interviene. Così come pochi sono intervenuti quando, non molto tempo fa, la tifoseria del Verona ha rivolto insulti razzisti a Mario Balotelli, che dal campo ha scagliato una pallonata verso i fantomatici ultrà. Un pallone che ha colpito, ma non abbastanza, tanto che lo stesso allenatore del Verona, finita la partita, ha affermato che lui di insulti e fischi razzisti non ne ha sentiti.
E così, insieme ad Eniola Aluko, espertissima giocatrice inglese, il nostro comportamento sbagliato lo subiscono tutti i giorni anche giovani, sportivi e non solo, che sono italiani per bene trattati come criminali da italiani criminali che sembrano italiani per bene.
È scandaloso ed ingiusto che la Aluko, dopo dichiarazioni così pesanti, riceva solo il silenzio, mentre se un giocatore maschio avesse lasciato l’Italia per gli stessi motivi, non legati a risvolti professionali dipesi dal club, ma a risvolti personali collegati alla vita nel nostro Paese, si sarebbe scatenato un dibattito infinito.
C’è poco da aggiungere, e molto da fare; e il fatto che il calcio, sport nazionale, sia vissuto in questo modo lascia ben poca speranza. Ma c’è bisogno che qualcosa sia fatto, per fare in modo che chi come Eniola Aluko viene nel nostro paese si senta a casa. Ma soprattutto che si senta a casa chi, come Mario Balotelli, è italiano ma considerato di serie B. Che poi, se quelli che considerano Balotelli italiano di serie B sono italiani di serie A, forse è più dignitoso essere italiani di serie D.
Chiara Parma
Eni Aluko
Aggiornamento: 3 ago 2020
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