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  • Immagine del redattoreSara Pietrini

Věra Cáslavská: la ginnasta che abbassò il capo

Aggiornamento: 21 nov 2021


Věra Cáslavská è la ginnasta cecoslovacca che si è aggiudicata il maggior numero di medaglie in specialità individuali, aggiudicandosi l’oro olimpico in concorso individuale, trave, volteggio, corpo libero e parallele asimmetriche. In soli undici anni di carriera ha vinto undici medaglie olimpiche tra cui sette ori (che devono essere sommati agli altri riconoscimenti nei Campionati del mondo e in quelli europei). Inoltre è la seconda donna nella storia della ginnastica - dopo la sovietica Larisa Latynina - ad aver vinto due titoli olimpici nel concorso generale individuale (Tokio 1964 e Messico 1968). È stata premiata quattro volte atleta dell’anno in Cecoslovacchia e, nel 1968, migliore atleta del mondo.


Nata il 3 maggio 1942 a Praga (allora capitale della Cecoslovacchia, oggi della Repubblica Ceca), iniziò la sua carriera come pattinatrice di figura, ma presto decise di dedicarsi alla ginnastica artistica prendendo parte ai Campionati europei di Mosca del 1958. L’anno seguente ottenne i primi premi individuali: l’oro nel volteggio e l’argento alla trave nel Campionati europei di artistica femminile. Raggiunse l’apice della sua carriera nel 1964 a Tokio dove vinse in tutte le categorie individuali, oltre che un argento nell’esibizione a squadre.


Dato il suo dichiarato appoggio al movimento democratico cecoslovacco, la vita della Čáslavská è profondamente legata anche agli sconvolgimenti politici della Cecoslovacchia.


Nel 1918, poco dopo la fine della prima guerra mondiale, i cechi e gli slovacchi si unirono formando un unico stato per liberarsi dagli storici dominatori (rispettivamente gli austriaci e gli ungheresi). Dopo la seconda guerra mondiale, la Cecoslovacchia passò sotto l’influenza sovietica. Il 5 gennaio 1968 il riformista Alexander Dubcek divenne segretario del Partito comunista e cercò di introdurre la libertà di espressione, il decentramento dei poteri, arrivando a ideare un progetto di scissione in due Stati. Questo movimento volto a liberare la Cecoslovacchia dal controllo dell’Unione Sovietica fu definito la “Primavera di Praga”. Anche gli intellettuali e gli sportivi, tra cui Věra Cáslavská, manifestarono il loro appoggio a Dubcek sottoscrivendo il “Manifesto delle duemila parole”, ossia un testo a opera dello scrittore Vaculík di duemila parole rivolto a tutti - in particolare ai lavoratori - il quale sosteneva i progetti del segretario del Partito. Tuttavia, la portata delle persone che rivendicava un minor numero vincoli spinse il segretario generale del Partito comunista dell’URSS, Leonid Breznev, a ordinare l’invasione da parte delle truppe del Patto di Varsavia (alleanza militare degli stati socialisti del blocco orientale nata per contrastare la NATO). I carri armati invasero il Paese nella notte fra il 20 e il 21 agosto, ponendo dunque fine alla “Primavera di Praga”. Dopo quella notte la vita degli sportivi che avevano firmato il manifesto divenne molto dura.


Bisogna inoltre ricordare che nello stesso anno si dovevano svolgere le Olimpiadi a Città del Messico, un evento fondamentale per gli atleti, e soprattutto per Věra che nei Giochi precedenti aveva ottenuto una medaglia olimpica nel concorso individuale. Tuttavia, diversi sostenitori del movimento democratico furono costretti a lavori faticosi e pericolosi. Per esempio, il campione olimpico Emil Zátopek, quattro ori e un argento nelle gare di fondo del 1948 e del 1952, fu spedito in una miniera di uranio, materiale radioattivo, e privato della possibilità di partecipare alle competizioni in Messico. Anche la Čáslavská temeva la stessa sorte, ma fortunatamente fu “solo” allontanata dal resto della squadra e, paventando l’arresto, si rifugiò da un amico sulle montagne della Moravia. Qui si allenò come poteva per le Olimpiadi, nonostante l’incertezza sulla sua presenza: sollevava sacchi di patate al posto dei pesi, utilizzava i rami degli alberi per i volteggi, spalava il carbone per farsi venire i calli alle mani, necessari per una buona presa agli attrezzi. In extremis, alla ginnasta venne concesso di competere.


Věra giunse in Messico senza essersi preparata in palestra, ma nonostante ciò il suo impegno e la sua determinazione le permisero di vincere l’oro al volteggio e alle parallele. Fu poi la volta del concorso individuale a corpo libero nel quale conquistò il primo posto a pari merito con la sovietica Larisa Petrik (la quale doveva arrivare seconda, ma, a seguito di alcune pressioni sui giudici, i risultati delle qualifiche vennero modificati e lei si aggiudicò la medaglia d’oro). La ginnasta sovietica era dunque un simbolo, seppur innocente, dell’oppressione subita nei mesi precedenti dalla Cecoslovacchia per mano dell’Unione Sovietica e per la Cáslavská questo era difficile da accettare. Pertanto, durante la premiazione, fece un gesto all’apparenza innocuo, ma che nascondeva un grande valore rappresentativo. L’atleta cecoslovacca per tutto il suo inno tenne lo sguardo dritto, ma, proprio nel momento in cui si iniziò a intonare l’inno dell’URSS, abbassò il capo, rifiutandosi di guardare l’emblema degli invasori del suo Paese.


Questa sua “protesta silenziosa” non fu così dirompente, come il gesto di Tommie Smith e John Carlos che nove giorni prima sul podio dei 200 metri avevano alzato i due pugni guantati di nero contro le discriminazioni razziali, ma per il governo sovietico anche solo ostentare freddezza era un atteggiamento polemico, pertanto andava soppresso.


Al suo ritorno, la Cáslavská venne accusata di «influenze scorrette», quindi la bandirono da ogni competizione e la costrinsero a ritirarsi. Per molti anni le venne impedito di lavorare come allenatrice, presenziare ad eventi sportivi e persino prendere un aereo. Nonostante ciò, non revocò mai, a differenza di altri grandi atleti quali Raška o Zátopek, la propria firma sotto la petizione delle “Duemila parole”, poiché, come ha confessato in diverse interviste, se avesse rinnegato quel manifesto, simbolo di speranza, la gente che credeva nella libertà avrebbe perso tanto la fiducia quanto il coraggio e voleva che almeno la speranza permanesse. Perciò, preferì rinunciare a tutto e operare come donna delle pulizie piuttosto che approvare l’invasione sovietica come le era stato chiesto di fare per spezzarne la moralità.


Inoltre, le autorità cecoslovacche rifiutarono di pubblicare la sua autobiografia e insistettero per censurarla quando fu stampata in Giappone. Numerose furono le pressioni degli organismi sportivi internazionali sul governo del suo paese per limitare i danni dell'ostracismo a cui era sottoposta. Nel 1980 fu anche insignita dell’Ordine Olimpico, la più alta onorificenza del movimento olimpico. Negli anni Novanta fu nominata presidente del Comitato olimpico e membro del Comitato olimpico internazionale del suo paese (cecoslovacco e, a seguito dei mutamenti politici, ceco).


La Čáslavská ebbe difficoltà non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche da quello familiare. Infatti, prima del suo ritorno da Città del Messico, Věra si sposò con il mezzofondista Josef Odložil, da cui ebbe un figlio e una figlia, Martin e Radka. Tuttavia, il loro matrimonio non era destinato a durare e i due finirono per divorziare nel 1987. Inoltre, il figlio Martin risultò coinvolto in un alterco con il padre nel quale, a seguito di una spinta, Josef batté la testa e morì. A seguito di questo episodio, l’ex ginnasta iniziò a soffrire di depressione per la quale disertò parecchi eventi pubblici e sociali. In seguito parve riuscire a sconfiggere la malattia tornando ad allenare giovani ginnaste e a presenziare in pubblico.


Dopo la caduta della Cortina di Ferro, ricevette diverse proposte tra cui la carica di sindaco di Praga e di ambasciatrice in Giappone, da lei molto apprezzato, che però rifiuto, scegliendo di lavorare per Václav Havel, che aveva supportato durante la rivoluzione di Velluto, ma che non mancò di criticare duramente quando lo riteneva opportuno.


Ammessa nella Hall of Fame dei ginnasti, è stata classificata da una giuria di giornalisti come la seconda atleta ceca del secolo, dopo Emil Zátopek. Nel 2012 fu persino realizzato un docu-film su di lei intitolato “Vera 68”.


Negli ultimi anni della sua vita lottò contro la xenofobia per la protezione dei profughi. Il 30 agosto 2016 Věra Čáslavská morì all’età di 74 anni per un tumore al pancreas contro cui lottava da tempo.


Il presidente ceco Miloš Zeman, in ricordo di questo straordinario personaggio, si è limitato ad un mero riconoscimento dei suoi meriti sportivi: “i suoi straordinari successi sportivi rimarranno nella mente di tutti noi per sempre,” omettendo volutamente quel coraggio civile e quella fierezza morale che hanno caratterizzato tutta la vita della Čáslavská, costandole sia il lavoro che la famiglia.


Věra Čáslavská è stata non solo una delle atlete con il più alto numero di medaglie, ma anche un simbolo di speranza, di coraggio e di determinazione. Un’eroina che ha combattuto per la libertà di molti, anteponendo il bene comune a quello personale. Una donna che poteva avere tutto (soldi, fama, carriera) eppure ha deciso di opporsi alle barbarie dell’URSS, preferendo perdere il suo lavoro, svolgendo mansioni da donna delle pulizie, pur di non perdere sé stessa e la sua integrità morale.

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