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  • Immagine del redattoreSofia Brombini

Esplorazioni

Giorno 56,

io, capo archeologo ed esploratore Walter Drake ed il mio assistente James Hudson, scriviamo queste pagine poiché potrebbero essere le testimoni della più grande scoperta della nostra carriera che forse potrà rivoluzionare il mondo intero.

Questo pomeriggio, dopo aver costeggiato il lago "de Izàbel", declamato così in onore della mia devota moglie, ci siamo immersi in una fitta foresta e sebbene avessimo con noi tutti gli strumenti per orientarci anche senza la presenza di raggi solari, troppo deboli per riuscire a filtrare oltre la coltre di alberi, ben presto smarrimmo la nostra strada. Camminammo per un lungo tempo che tuttavia non riuscimmo a definire, dato che i nostri orologi si ruppero in seguito ad una mia caduta durante la ripida scalata che avevamo fatto per raggiungere il lago. Quando ormai avevamo perso le speranze di tornare all'accampamento prima di sera e già pensavamo a dove trascorrere la notte, sbucammo in una piccola radura che ci lasciò a bocca aperta. Al centro di essa, infatti, si ergeva in tutta la sua altezza il tempio più grande che avessimo mai visto. La costruzione non dava segni di particolari rovine provocate da mano umana, ma era anzi ricoperta di arbusti e muschio brillante tanto da farci credere, a prima vista, che fosse una montagna di smeraldo. Trovammo con facilità l'ingresso ai piedi della piramide di pietra e, una volta varcata la soglia, fummo colti da una smania di osservare tutto, anche l'angolo più oscuro. Ci liberammo dei nostri zaini portando con noi solo una torcia e questo diario, per annotare ogni minimo dettaglio. Ci dirigemmo verso il centro del corridoio davanti a noi e mentre lo percorrevamo a passi sordi e lenti, scrutammo le incisioni e i disegni creati con un maestoso bassorilievo, fatto con una tale cura che i personaggi sembravano prendere vita dinanzi ai nostri occhi. In numerosi anni di studi mai avevamo visto ornamenti del genere e notammo con grande amarezza che la maggior parte dei geroglifici presenti provenivano da una lingua a noi sconosciuta. Tuttavia, ogni tanto ci balzava all'occhio qualche simbolo familiare e cosi deducemmo che si trattasse della narrazione della genesi raccontata dai Maya, secondo i quali vi erano due dèi primordiali: Hunab Ku, padrone del cielo, e Ixquic, personificazione della luna e madre di tutte le divinità. Immersi nel nostro stupore non ci rendemmo conto di aver iniziato a salire una stretta scalinata che ci conduceva al cuore pulsante del tempio. La narrazione tuttavia continuava e sembrava descrivere un misterioso quanto affascinante culto della dea lunare, che risplendeva del proprio potere soprattutto durante le eclissi che rendevano l'astro color sangue, come d'altronde significa il nome "Ixquic". Le scene mostravano la più grande celebrazione che si svolgeva nel tempio: ad ogni luna piena una sacerdotessa votata alla sua signora doveva sacrificare una giovane novizia pura, estraendole il cuore dal petto con un pugnale sacro e asportarle il sangue che sarebbe poi stato sparso nei campi in modo tale da renderli fertili e rigogliosi.

Ancora incollati alle pareti raggiungemmo una grande sala piena di luce che ci abbagliò. Non appena ci abituammo a quel chiarore potemmo osservare come la stanza fosse interamente ricoperta d'oro cesellato. Al centro di essa, vi era un altarino posto esattamente sotto un'apertura del soffitto e che assicurava l'entrata dei raggi solari. Posto sulla piccola costruzione in pietra vi era un oggetto luccicante, ci avvicinammo e scoprimmo con nostra immensa gioia che si trattava proprio del pugnale che avevamo visto ritratto numerose volte nelle incisioni. Poiché non avevamo portato con noi il materiale per asportare le lamine dorate da portare nell'accampamento per studiare meglio i geroglifici, decidemmo di usare il pugnale da cerimonia che avevamo constatato fosse fatto di un materiale rozzo e di scarso valore.

Appena iniziammo a scalfire una parete calò nell'aria un silenzio sovrumano, tanto da poter sentire il pulsare dei nostri stessi cuori. Improvvisamente percepimmo il pavimento posto sotto i nostri piedi tremare e ci trovammo le caviglie legate a strane radici che parevano avere vita propria. Presto venimmo buttati a terra da una forza misteriosa e le radici iniziarono ad aggrovigliarsi intorno ai nostri corpi fino a che non vedemmo altro che buio.



Nel silenzio della radura due cuori ancora pulsanti risplendevano nella penombra della sala cerimoniale e il sangue colato sulle pareti già rigenerava l'antico tempio, facendolo tornare al suo periodo di massimo splendore mentre nel cielo ormai buio si stagliava la luce rossastra di una luna di sangue.

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