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Chiara Parma

La finale dei miracoli

Aggiornamento: 3 ago 2020

Ci sono molte occasioni in cui il destino nella vita è piacevolmente imprevedibile, e così è anche nello sport. Ma a volte, nello sport molto meno che nella vita, ci sono colpi di scena terribilmente imprevedibili, che ci lasciano con un’amara sensazione, che ci fa sentire che non può essere davvero così. L’atleta di cui vi voglio parlare si chiama Giuseppe Gentile, nato a Roma il 4 settembre 1943. Appassionatosi all’atletica da giovanissimo, fino a tredici anni praticò salto in alto. In una competizione studentesca però, improvvisò partecipando ad una gara di salto triplo, innamorandosi irrimediabilmente di quella disciplina. Venne allenato da Luigi Rosati, allenatore a cui rimase indissolubilmente legato poi per tutta la vita. Nel ’68, due mesi prima delle Olimpiadi, Gentile conquistò il record italiano di salto in lungo. Un buon inizio, insomma, e l’atleta si dirigeva a Città del Messico pronto a dare tutto, come sempre. Durante la qualificazione al salto triplo, Gentile volò poco più di 17 metri: era record del mondo e lui era il secondo uomo nella storia a saltare più di 17 metri. Al primo salto in finale, l’intera Italia trema: con un 17.22, è di nuovo record del mondo. L’oro luccica, tutti i tifosi vedono già la medaglia pendergli al collo, insieme al tricolore cucito sulla schiena, tutto brilla d’azzurro. Pochi secondi dopo, la magia si spezza: salta Victor Sanejev, è un nuovo record del mondo, con 17.23. Sembra quasi uno scherzo, ma l’Italia continua a sperare. In fondo, forse, i miracoli non sono finiti. Purtroppo, in effetti, ci sono ancora un paio di miracoli pronti ad avvenire. Poco dopo salta Nelson Prudencio, che a sua volta supera di 4 centimetri il georgiano, stabilendo il terzo record mondiale della giornata, il quarto in pochi giorni. Gentile tenta altri 4 salti, ma l’ultimo record mondiale della finale è di nuovo di Sanejev, che con un 17.39 chiude la partita. Gentile è distrutto e sul podio sembra all’alba del suo funerale; forse gli sembra un incubo, forse gli sembra troppo assurdo per essere vero: due record mondiali e solo un bronzo. Per anni si troverà a chiedersi e a chiedere al suo allenatore quale fu il suo errore in quegli ultimi quattro salti, che sfioravano l’argento ma in cui non riusciva mai a volare abbastanza. Ma Rosati, anche dopo molti anni, continuò sempre a rispondere che non aveva sbagliato, aveva saltato bene. Qualcuno, purtroppo, aveva saltato meglio di lui. Gentile impiegò sicuramente molti anni a mettere a tacere la rabbia di un oro che ormai tutti gli avevano già messo al collo, di cui forse sentiva già il peso sul petto. Forse non c’è ancora riuscito del tutto. Sappiamo però che ebbe un futuro: nel cinema, nel suo piccolo, interpretando Giasone nella Medea di Pasolini, e nello sport, come dirigente CONI. Sappiamo anche che, in questo destino avverso, qualcosa rimase comunque puro e forte come l’oro. Gentile infatti commissionò un calco della dannata medaglia di Città del Messico per realizzarne una copia perfetta; fece poi dividere le medaglie a metà e le fece assemblare di nuovo, donandone una a Luigi Rosati. Forse l’unica persona con cui abbia potuto condividere il suo cupo dramma fino in fondo, nel bene e nel male.


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