Lo chiamavano Rombo di Tuono per il suo sinistro stregato, che nove volte su dieci andava a segno esattamente dove lui desiderava. Luigi Riva nacque nel 1944 a Leggiuno, sul Lago Maggiore. Dopo le giovanili e un anno in serie C col Legnano, qualcosa si apprestava a cambiare. Arrica, un osservatore del Cagliari, lo notò. La società per lui chiedeva una fortuna e c’era da considerare il fatto che Riva si trascinava dietro il piede destro come una zavorra; oltretutto era mingherlino, e per quanto chiedevano sarebbe stato folle comprarlo. Eppure, davanti alla rete, sfoderava una potenza e una precisione straordinarie. Ed Arrica rischiò. Riva era dubbioso e inizialmente non era sicuro di accettare il trasferimento sull’isola, che l’avrebbe allontanato molto da casa. Per di più, c’era una trattativa in corso col Bologna che Riva avrebbe di gran lunga preferito. Ma alla fine accettò. Si trasferì sull’isola per il campionato cadetto del 1963-64, anno in cui la squadra salì in serie A. Alla sua prima stagione in serie A Riva segnò 9 goal, risultato discreto per lui che, appena ventenne, stava iniziando ad affacciarsi al mondo del grande calcio italiano. Gigi sviluppò un’ossessione per la sua tecnica di tiro, che doveva diventare perfetta. Si allenava costantemente e metodicamente e, alla fine, i suoi sforzi fruttarono. Riva, dopo un altro anno, scala la vetta della classifica dei cannonieri. Ci riuscirà per ben tre volte. Arrica, che inizialmente aveva notato il suo potenziale, tornò a vederlo ed ebbe l’intuizione di utilizzare Riva come colonna portante della sua squadra: così negli anni acquistò i giocatori più adatti per permettere a Riva di fare il suo gioco. Era il campionato ’69-’70, e il Cagliari vinse il suo primo e unico scudetto. In Sardegna, a Cagliari in particolare, festeggiarono tutti. Venne persino fatta una statua di legno con le sembianze di Riva che fu trasportata per tutto il centro della città. Nello stesso anno Riva arrivò secondo con la nazionale al campionato mondiale di Messico. Riva rimase sempre, per tutta la carriera, degno del suo soprannome. Non smise mai di allenarsi, né mai perse la sua precisione. Quando gli furono offerti contratti più vantaggiosi, Riva non accettò mai. Si era innamorato di quell’isola e di quella città sarda che l’avevano accolto come un figlio e l’avevano fatto sentire a casa. E, come ogni grande atleta, Riva seppe capire quando fu il momento di lasciare il campo, per continuare ad amare il calcio nelle retrovie. Fece la storia di una squadra, della sua squadra, come pochi calciatori al mondo, e fece la storia della nostra nazionale italiana. Era mancino, e lo chiamavano Rombo di Tuono.
Chiara Parma
Rombo di tuono
Aggiornamento: 3 ago 2020
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