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“Walden ovvero Vita nei boschi” di Henry David Thoreau

É la fine di marzo del 1845 quando il filosofo americano Henry David Thoreau abbandona la società civile per trasferirsi in una capanna da lui costruita lungo il lago Walden. Dopo due anni trascorsi nella natura, egli fa ritorno alla città natale portando con sé non solo gli appunti destinati alla sua opera maggiore, ma anche nuove consapevolezze di esistenza.

“Walden ovvero Vita nei boschi” viene pubblicato nel 1854 e rappresenta tutt’ora uno dei più limpidi inni di amore verso le sfaccettature della natura e dell’esistenza.

Il diario ha inizio con una dichiarazione dell’autore, che motiva le ragioni della scelta di vivere nei boschi: l’uomo della società moderna sente sopra di sé il peso della vita ripetitiva, del lavoro incessante.

La fatica che l’uomo spende nel lavoro è però vana, perché si basa su principi sbagliati. Gli uomini, infatti, afferma Thoreau, “sono così presi dai più superflui e grossolani lavori per la vita, che non possono cogliere i frutti più saporiti che questa offre loro”. La separazione dalla società permette il ritorno ad una concezione primordiale di vita, un’esistenza sobria e rispettosa delle più piccole forme di vita.

Così, dopo la descrizione della sua capanna e dei mezzi di sussistenza, l’autore inizia a concentrarsi sulla sua nuova vita quotidiana.

Questa è scandita soltanto dal sorgere e dal tramontare del sole e dagli echi dell’ambiente vicino ai boschi. Gli elementi della flora e della fauna diventano per il filosofo un alfabeto con cui parlare della libertà, della meraviglia intrappolata in ogni loro frammento.

Thoreau descrive così il lago Walden: “È uno specchio perfetto della foresta, circondato da pietre, preziose al mio occhio come le più scelte o le più rare. Nulla di tanto bello, puro e insieme tanto ampio, come un lago, forse, giace sulla terra. Acqua-firmamento.”.

Di stagione in stagione, egli si dedica a semplici attività: la lettura, la scrittura, la coltivazione del suo orto e l’osservazione della natura.

Le stagioni stesse assumono valori simbolici e segnano un'interna divisione dell’opera. L’estate è considerata da Thoreau la stagione del lavoro, l’autunno quella della bellezza estetica, l’inverno della parola nata dall’ascolto del bosco e la primavera rappresenta la ricerca spirituale.

Infine, la considerazione di Thoreau nei confronti del mondo naturale è fortemente ecologica.

In alcune parti del romanzo, l’autore intrattiene rapporti con gli indiani e apprende nuovi aspetti della natura. Pone l’accento sulla modalità di sopravvivenza di queste popolazioni, che garantiscono la propria sussistenza senza depredare la fauna.

Nel 1847 Thoreau decide che il periodo della sua vita nei boschi è giunto al termine, proprio come il suo diario.

La considerazione del filosofo sullo scopo della sua esperienza diventa ancora più chiara: non opporsi allo Stato o rinnegare le leggi umane, ma riscoprire quelle della natura. L’uomo, infatti, ha la possibilità di vivere altre esistenze rispetto a quella nella società e per scoprire il suo essere più profondo deve sperimentarne il più possibile.

«Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, affrontando solo i fatti essenziali della vita, per vedere se non fossi riuscito a imparare quanto essa aveva da insegnarmi e per non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto». Così Thoreau giustifica il suo viaggio, per far comprendere alla fine del romanzo che solo nei boschi ha vissuto davvero.


Emma Dall'Oca

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