É ormai da quasi due anni che la pandemia del Covid-19 si è abbattuta sulle nostre vite. Molto spesso, nell’arco di questo periodo, sono riecheggiate sui principali mezzi di informazione le parole “dittatura sanitaria”.
Prima era solo un’insinuazione, un velato tentativo di attirare l’attenzione di chi, tra una quarantena e l’altra, era troppo impegnato a sopravvivere.
Da quando la campagna vaccinale contro il virus si è estesa a livello globale, però, i due termini sono diventati sempre più diffusi, soprattuto in Italia.
Ora i sostenitori di questo concetto non si nascondono più dietro alla barriera infrangibile degli schermi, ma danno un volto alle loro affermazioni.
Sostengono con forza che l’intera pandemia rappresenti un’invenzione nata per creare una dittatura e con lo scopo di reprimere la libertà individuale della popolazione.
In particolare la distribuzione dei vaccini comporterebbe un controllo generale degli individui e non una tutela sanitaria.
Così, negli ultimi mesi, le piazze di città in tutta l’Italia sono state coinvolte in manifestazioni basate anche su pretesti politici di ogni genere. I loro partecipanti si dichiarano la “nuova Resistenza” e declinano il concetto di “dittatura sanitaria” in termini come “deriva autoritaria”, “dittatura in nome del virus”.
Ciò che, forse, i negazionismi ignorano è l’entità drammatica e potente del termine “dittatura”, il quale va utilizzato con profondo rispetto, soprattuto nei confronti di chi sul serio non può godere della libertà individuale nel proprio Paese.
Ma, soprattutto, vanno conosciuti e rispettati i precedenti storici.
Una dittatura sanitaria, infatti, ha avuto luogo in Italia meno di un secolo fa. Era il 1925 e l’Italia era soggiogata da un fascismo ancora agli albori quando si è diffusa un’epidemia di malaria, malattia già frequente e conosciuta per le precedenti manifestazioni.
Mussolini, da tre anni al potere, non approvò la scelta di sostenere ulteriormente l’importazione di chinino, farmaco olandese efficacissimo contro la malattia. Diede dunque l’autorizzazione a due ricercatori iscritti al partito, Peroni e Cirillo, di condurre un esperimento su larga scala.
“L’esperimento” in questione avrebbe coinvolto un gruppo di duemila lavoratori impiegati nella bonifica di aree malariche tra Puglia e in Toscana.
Alla metà dei lavoratori venne tolta la protezione del chinino, all’altra venne iniettato del mercurio, un rimedio già dichiarato inefficace e dannoso dal Consiglio Superiore di Sanità.
La possibilità dei lavoratori di opporsi alle tecniche non venne nemmeno contemplata e le loro vite furono in larga scala sacrificate: quasi tutti presero la malaria.
L’esito della sperimentazione fu infatti dichiarato disastroso, per quanto i due ricercatori avessero cercato di sostenere il contrario.
Nessun aspetto di questo triste scenario ha nemmeno lontanamente a che fare con la situazione attuale: oggi vigono concetti e diritti ben diversi a favore della popolazione italiana.
Proprio come afferma il giornalista Francesco Oggiano, ci sono diversi principi in comune tra Costituzione, campagna vaccinale e green pass.
Il primo per importanza tra questi principi è quello di autodeterminazione, di cui i “no green pass” negano l’esistenza. Questo dichiara che ogni cittadino è libero di scegliere a quali trattamenti sanitari sottoporsi.
L’altro valore che la lotta contro il Covid-19 deve considerare è quello dell’ “interesse della collettività”, ossia garantire che le azioni (o le non-azioni) di una parte dei cittadini non mettano a repentaglio la vita degli altri.
Questo viene meno quando le orde di manifestanti senza mascherina pretendono di ricevere compassione dai media, eppure, nonostante siano causa di pericolo pubblico, viene rispettata la loro libertà di espressione.
Ciò che invece i manifestanti “no green pass” scelgono di ignorare è che la realtà più tetra del Covid-19 non si consuma nelle piazze, ma negli ospedali.
Qui, infatti, i contagi sono causati in gran parte dalla loro scelta di mettere in pericolo la vita altrui, diventando ideali veicoli per il virus.
Forse è solo triste e un po’ ironica la scelta di questi uomini che, di fronte all’offerta della prodigiosa protezione contro una terribile malattia, scelgono non solo di rifiutarla, ma anche di contestarla.
E a danno di chi le regole le rispetta, e dimentica l’egoismo per sostenere il percorso, sempre più definito, verso la salvezza collettiva.
Emma Dall'Oca, 4ªB
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