Mi chiamo Valentina, ho 19 anni e sono cresciuta in Italia. Il 19 gennaio 2020, mentre stavo
tornando a casa da Mestre, e mentre aspettavo al binario, alcuni ragazzini continuavano a importunarmi dicendo “prova a pronunciare la R, tanto non riesci incapace”. Ho provato a ignorare, non è la prima volta che succede nella mia vita, “sono ragazzini” ho pensato. In treno però, dopo che è passato il controllore, hanno cominciato a esagerare, facendomi versi razzisti e sessisti, al che non ho più tollerato e ho iniziato a rispondere a tono. Questi, probabilmente molto frustati, hanno iniziato a dirmi “magna****a tornatene al tuo Paese”, “ma cosa dici che ti abbiamo rotto la m*****a se hai la f**a, o in Cina vi trapiantano il c***o da piccole?”, e altre cose che mi stanno facendo venire gli occhi lucidi solo a rimembrare. Dopo un po’ hanno smesso, ma prima di scendere (sono scesi a Padova, io dovevo scendere più avanti) hanno pensato bene di sputarmi addosso e farmi il dito medio fuori dalla carrozza. Non so cosa dire, sono avvilita, soprattutto perché forse non si potrà fare nulla.
Sono Madiha, ho 36 anni e sono una donna italiana di origini marocchine. Gestisco un bar a
Rezzato, nei pressi di Brescia e alle 2 di notte di lunedì 27 gennaio 2020, l’allarme del mio bar mi ha svegliata: vetrate sfondate, tende rotte, porte a terra, la scritta “n***a t***a” con tanto di svastica e croce celtica occupa gran parte del pavimento. Non so se riaprirò, sono spaventata e profondamente turbata.
Il mio nome è Aldo Rolfi, abito a Mondovì, in provincia di Cuneo e sono il figlio della staffetta partigiana Lidia Rolfi, deportata nei campi di sterminio. Durante la notte del 25 gennaio 2020, la scritta “Juden hier” “Qui c’è un ebreo” è apparsa sulla porta di casa mia, accompagnata dalla stella di David, come quelle che i nazisti utilizzavano per identificare gli ebrei. No, non siamo nella Germania o nell’Italia di 90 anni fa, in cui marchiare le abitazioni e i negozi degli ebrei era una barbara pratica quotidiana. E non siamo nemmeno nel film “La vita è bella”, non ci sono le battute di Benigni, non ci sono “cavalli ebrei” colorati di verde, non ci sono i ragni e nemmeno i Visigoti. Siamo nell’Italia di oggi, l’Italia del 2020.
Primo Levi riferendosi all’Olocausto disse: “è successo, quindi potrebbe succedere ancora”. Dobbiamo ricordare che non iniziò subito con le camere a gas, ma iniziò con odio, discriminazione, esclusione ed insulti. La storia può ripetersi sotto i nostri occhi, le menti possono tornare ad essere annebbiate, sta a noi impedire la discriminazione, anche contro la più piccola, perché ricordate che non iniziò con le camere a gas, ma con “piccole” discriminazioni ed insulti.
Giulio Mazzoni, 4CR
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