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Il diritto di voto

Quando ci si riferisce al diritto di voto, molto spesso la grande importanza del suo ruolo nella società viene tralasciata. Si tratta del diritto politico per eccellenza tra quelli Costituzionali, strettamente legato alle nozioni di democrazia, di sovranità popolare e di cittadinanza. In senso pratico, con questa espressione si intende il diritto di partecipare a votazioni di genere pubblicistico, sia di tipo deliberativo sia di tipo elettivo, e quest’ultimo è senza dubbio il più importante.

IL DIRITTO DI VOTO NEL CORSO DEL TEMPO

L’aspetto del voto esisteva già nell’antichità e nel Medioevo, nonostante si svolgesse con modalità diverse rispetto a quelle che si è soliti considerare al giorno d’oggi. Il costituzionalismo moderno, basato sull’autonomia della sfera politica da quella religiosa, sulla separazione dei tre poteri dello Stato e sull’affermazione dello stato di diritto, nato dalle conseguenze della Glorious Revolution degli anni 1688-1689, della Rivoluzione Americana dell’anno 1776 e della Rivoluzione Francese dell’anno 1789 e sviluppatosi nel corso dell’Ottocento liberale sotto la spinta delle rivoluzioni europee del 1848, rese possibile, insieme al principio di uguaglianza, l’accettazione dell’idea del voto come diritto individuale (“un uomo, un voto”), quando invece nelle epoche precedenti il voto si ricollegava all’appartenenza ad un gruppo (si pensi per esempio ai comitia curiata o ai comitiva centuriata dell’antica Roma).

Da un punto di vista storico, il diritto di voto è un legame relativamente recente, che tuttavia costituisce ormai un dato di fatto irreversibile negli ordinamenti democratici, proclamato in tutte le più importanti Costituzioni novecentesche. Ecco un breve elenco di qualche esempio in ordine cronologico:

· Articoli 17 e 22 Costituzione in Germania 1919;

· Articoli 3, 4 e 6 Costituzione in Francia 1946;

· Articolo 48 Costituzione in Germania 1949;

· Articolo 38 Legge fondamentale in Germania 1949;

· Articoli 3 e 6 Costituzione in Francia 1958;

· Articoli 23, 68 e 69 Costituzione in Spagna 1978;

· Articoli 136 e 149 Costituzione in Svizzera 1999.

Il suffragio universale, ovvero il principio secondo il quale tutti i cittadini (uomini e donne), raggiunta la maggiore età, possono esercitare il diritto di voto e partecipare alle elezioni politiche ed amministrative insieme ad altre consultazioni pubbliche (come i referendum) senza nessuna restrizione culturale, socioeconomica o psicologica, è una conquista del XX secolo, e segna il fondamentale passaggio dallo Stato liberale alla moderna democrazia costituzionale.

La limitazione del suffragio si ricollegava all’idea del voto non come un diritto, bensì come una funzione esercitata nell’esclusivo interesse della nazione o dello Stato: in quanto tale, esso poteva essere conferito solo a coloro che fossero nelle condizioni di potersene proficuamente avvalere, perché in possesso di determinati requisiti di censo e/o di cultura.

IL DIRITTO DI VOTO IN ITALIA

Per quanto riguarda il caso italiano, fino alla proclamazione del Regno d’Italia nell’anno 1861 la legislazione sarda allora in vigore prevedeva un suffragio particolarmente ristretto, al quale partecipava solo il 2 % della popolazione: esso combinava alti requisiti di censo e di capacità, oltre a quello di saper leggere e scrivere. Il suffragio universale maschile vero e proprio è stato introdotto con la legge n. 1985/1918, che ha ammesso al voto tutti i cittadini maschi di età superiore ai ventuno anni, nonché i cittadini di età superiore ai diciotto anni che avevano prestato servizio militare durante la Prima Guerra Mondiale.

La Costituzione Repubblicana detta, all’articolo 48, i principi fondamentali in materia di voto, stabilendo che esso è personale, uguale, libero e segreto e che il suo esercizio è un «dovere civico». La Costituzione proibisce dunque il voto per procura (cioè la possibilità che un individuo deleghi a un altro il suo esercizio) e il voto plurimo (cioè la possibilità che il voto di un individuo, per i suoi requisiti soggettivi, possa avere un valore numerico superiore a quello di un altro): è nullo inoltre ogni patto con cui si obbliga un elettore a votare in un certo modo. Alla luce dell’evoluzione normativa in tal senso, si è arrivati a definire il voto una mera espressione del vincolo politico di appartenenza ad un popolo, come dimostra l’assenza di sanzioni nel caso della sua violazione.

IL DIRITTO DI VOTO ALLE DONNE

Il voto alle donne, o suffragio femminile, è un obiettivo recente della nostra storia.

Il movimento che diede impulso alla lotta per il diritto di voto alle donne è quello delle Suffragette inglesi: già nell’anno 1832 in Gran Bretagna venne concesso il suffragio femminile, anche se all’inizio solo nelle elezioni locali. Dal 2 luglio 1928 il diritto fu esteso a tutte le donne inglesi. Il primo Paese a ottenere il suffragio universale è però la Nuova Zelanda: tutte le donne della nazione sono chiamate al voto (già) dal 1893.

Il 30 gennaio dell’anno 1945, quando l’Europa era ancora impegnata nella Seconda Guerra Mondiale e la zona del Nord Italia era ancora occupata dai tedeschi, durante una riunione del Consiglio dei Ministri si discusse di questo tema su proposta di Palmiro Togliatti (membro del Partito Comunista) e di Alcide De Gasperi (membro della Democrazia Cristiana). Non tutti i presenti erano favorevoli, tra i quali alcuni membri del Partito Liberale, del Partito d’Azione e del Partito Repubblicano, ma nonostante ciò la questione venne trattata (e votata) come qualcosa di ormai “inevitabile” visti i tempi. Il 1 febbraio 1945 venne così emanato il decreto legislativo luogotenenziale n. 23, che conferisce il diritto di voto alle donne italiane con più di 21 anni, ad eccezione delle prostitute schedate esercitanti “il meretricio fuori dei locali autorizzati”. L’eleggibilità delle donne, quindi non solo la loro possibilità di andare a votare, venne stabilita con un decreto successivo, il numero 74 del 10 marzo del 1946.

Le donne italiane votarono per la prima volta il 2 giugno del 1946, in occasione del referendum istituzionale monarchia-repubblica. Solo alcune donne vennero chiamate alle urne qualche mese prima per le elezioni amministrative comunali, e per la prima volta nella storia vennero elette due donne sindaco: Ada Natali (a Massa Fermana, nelle Marche) e Ninetta Bartoli (a Borutta, in Sardegna).

Una piccola curiosità: la mattina del 2 giugno l’edizione del giorno del Corriere della Sera aveva come titolo: “Senza rossetto nella cabina elettorale”, con il quale si invitavano le donne a presentarsi presso il seggio senza rossetto sulle labbra. Il motivo? “Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo davvero, lasciarvi un po’ di rossetto e rendere così nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio”.

Una delle figure più attive nel rivendicare il voto alle donne è stata la pedagogista Maria Montessori (1870-1952), che nel 1906 scrisse sulle colonne di “La Vita” un appello affinché le donne italiane si presentassero ai seggi per votare: “Donne tutte, sorgete! Il vostro primo dovere in questo momento sociale è di chiedere il voto politico”.

Anna Costanzi, 4BL

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