L’arte del dire parole vere, gentili e necessarie.
Le parole hanno un senso profondo nella nostra vita: ci diversifica dalle altre specie animali e il contenuto dei nostri discorsi ci distingue l’uno dall’altro. Freud disse: “è impossibile conoscere gli uomini senza conoscere la forza delle parole”. Queste, insieme alle nostre azioni, delineano per chi ci circonda il nostro carattere, esprimendo le nostre emozioni e i nostri pensieri. Sono capaci di evocare immagini e proiettare scenari: è dunque necessario saperle abbinare in maniera positiva. Ad esempio se diciamo “ho un problema”, si innescano in noi e in chi ci ascolta un umore più triste o preoccupato, se scegliamo invece “c’è una nuova sfida” si attivano leve motivazionali differenti, che ci spronano ad affrontare la situazione.
L’errata scelta delle parole può generare incomprensioni. Una delle più comuni illusioni sociali è pensare di dire le stesse cose. Due persone possono esprimere lo stesso concetto con parole diverse e discuterne all’infinito, senza sospettare che il pensiero sia il medesimo; oppure il contrario: due persone possono usare le stesse espressioni e immaginare di essere d’accordo, quando intendono argomenti completamente diversi. Per evitare queste situazioni si consiglia innanzi tutto di prestare attenzione all’altro, perché ciò ci permette di comprendere il suo punto di vista, di risalire all’origine delle parole che vengono pronunciate e alle intenzioni comunicative alla base della conversazione.
Purtroppo, in qualche occasione, capita a chiunque di confondersi con l’abbinamento delle parole e di dire cose che non si pensano o di ferire l’altra persona senza averne l’intento. I termini che utilizziamo per esprimerci hanno, come le medaglie, due facce: possono essere gentili e quindi nutrire, guarire e far crescere, oppure possono essere ostili e uccidere come frecce avvelenate che rompono il cuore e spezzano l’anima. Le parole entrano dentro di noi e rimangono, dunque contano poiché si ricordano e portano sempre a delle conseguenze (positive o negative). In ebraico, la parola “frase”, mishpat, significa anche “giudizio”: quasi a indicarle come sentenze per discriminare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, le quali ci seguiranno per la vita. Pertanto le parole costituiscono la risorsa più potente dell’uomo che, se usata con noncuranza, può diventare un’arma pericolosa. Dunque è importante pensare bene a ciò che diciamo.
Bisogna precisare che noi conferiamo un valore diverso alle parole in base a chi le proferisce: più una persona è per noi importante, più le sue opinioni e critiche ci influenzano. Se veniamo biasimati da parsone a noi care, percepiamo incrinati i nostri schemi e il nostro equilibrio, perché sentiamo un attacco che proviene da un legame per noi intimo. Se invece le affermazioni nascono da pregiudizi sono prive discernimento e descrivono fantasie non corrispondenti alla realtà, quindi non hanno significato. Dobbiamo imparare a riconoscerle e a non farci turbare da esse. Quando le affermazioni non sono supportate dai fatti, il peso dovrebbe risultare più lieve. Eppure molte persone tendono a dare molta importanza a ciò che sentono, senza ricordare che nella società in cui viviamo molti individui parlano a vanvera senza pensare, senza una conoscenza o un’analisi dei fatti. Con le chiacchiere cercano di coprire la verità, situazioni scomode o semplici silenzi. Oppure si interviene per essere al centro dell’attenzione, per esprimere pareri non richiesti, per provocare, per dire maldicenze, per screditare gli altri, per portarli dalla propria parte, per trovare follower, sminuendo o criticando ingiustamente il prossimo. A mio parere dovremmo seguire un proverbio sufi secondo il quale prima di parlare bisogna chiedersi: “Quello che ho intenzione di dire è vero? È gentile? È necessario?” Se la risposta è no, è meglio tacere.
Occorre ricordare che, in base al nostro stato d’animo cogliamo delle sfumature diverse. Infatti, se siamo tristi abbiamo più difficoltà non solo ad appoggiare gli altri, ma anche a percepire l’incoraggiamento che ci viene dato; oppure se siamo arrabbiati tenderemo ad affermare cose di cui non avremmo mai parlato in altre circostanze e a interpretare ciò che ci viene detto in modo istintivo e spesso sbagliato. Ciò ci dimostra che i nostri discorsi non sempre corrispondono a quello che pensiamo e possono essere alterati dall’emotività e dalle circostanze.
Nella comunicazione risultano anche importanti il tono di voce, le espressioni del viso e l’atteggiamento. Come si fa allora sui social network dove ci si può nascondere nell’anonimato o sentirsi deresponsabilizzati perché lontani dietro ad uno schermo? In questo caso sono decisive le parole che scegliamo. Esse infatti hanno un peso reale, in particolare gli insulti (ai quali è universalmente attribuito un senso negativo), anche quelli non volutamente aggressivi, ma abitualmente utilizzati in contesti molto informali, perché non si sente né si vede l’altro individuo, dunque manca parte della comunicazione paraverbale. Per sensibilizzare le persone su queste tematiche è stata fondata nel 2017 l’associazione “Parole O_Stili”, la quale ha stilato il seguente manifesto per un miglior dialogo:
Virtuale è reale. Dico o scrivo in rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona.
Si è ciò che si comunica. Le parole che scelgo raccontano la persona che sono: mi rappresentano.
Le parole danno forma al pensiero. Mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso.
Prima di parlare bisogna ascoltare. Nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura.
Le parole sono un ponte. Scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri.
Le parole hanno conseguenze. So che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi.
Condividere è una responsabilità. Condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati e compresi.
Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare. Non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare.
Gli insulti non sono argomenti. Non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi.
Anche il silenzio comunica. Quando la scelta migliore è tacere, taccio.
Grazie anche all’aiuto dei docenti, questo decalogo è stato portato nelle scuole per far riflettere i giovani sui suoi principi e trasportarli nella vita quotidiana: per esempio in ambito sportivo, nel quale i tifosi utilizzano spesso insulti. Persino le scuole dell’infanzia hanno partecipato all’iniziativa, poiché pensano sia utile iniziare a sensibilizzare i più piccoli, in modo tale che si raggiungano a pieno gli obbiettivi cardine di una comunicazione efficace che sono:
L’ascolto attivo, ossia la capacità di ascoltare per imparare dagli altri, poiché nel confronto c’è l’opportunità di crescere. Il nostro livello di ascolto indica se siamo più centrati su noi stessi o sul prossimo. Se il focus è su noi stessi è probabile che tendiamo a non prestare loro l’attenzione e considerazione che meritano, perché spinti dal desiderio di prevalere. Se siamo centrati su coloro che ci circondano, quasi sicuramente siamo buoni ascoltatori, ciò ci permetterà di cogliere i messaggi più profondi e nascosti che alla maggior parte delle persone che non ascoltano sfuggono. Questo può essere riassunto con la frase “quando sono pronto per ragionare con un uomo, impiego un terzo del mio tempo a pensare a me stesso e a quello che devo dire e due terzi a pensare a lui e a quello che dirà” di Abraham Lincoln. Per dimostrare che si sta prestando attenzione si possono seguire questi consigli: mostrare interesse, incoraggiando l’interlocutore a proseguire il discorso, chiedendo chiarimenti e guardandolo negli occhi mentre parla; centrare la conversazione sul parlante, in vece che su di sé; non interrompere; non dare giudizi affrettati ed evitare, come afferma l’educatore Stephen Covey, di ascoltare con l’intento di capire, invece che con l’intenzione di replicare.
La comunicazione non verbale, la quale veicola gran parte del messaggio che si vuole trasmettere. Include il tipo di espressioni facciali, il modo in cui si gesticola, le posture, il contatto oculare, la tensione muscolare e il modo in cui si respira. Comprendere questo linguaggio aiuta ad entrare in sintonia con gli altri e ad esprimere le nostre idee con maggior efficacia.
La comunicazione paraverbale, cioè il tono della voce, la velocità, il timbro e il volume. I leader di successo sapevano infatti modulare la voce per enfatizzare una determinata parola o frase.
La comunicazione assertiva, vale a dire esprimere efficacemente le proprie opinioni facendole rispettare e rispettando le altre persone.
Il linguaggio persuasivo, il quale si basa sul modello delle 4C: Comprensione, Connessione, Credibilità, Contagiosità.
Comprensione: il pubblico è in grado di cogliere il messaggio del discorso. Per migliorare questo punto è consigliabile ripetere spesso il concetto aiutandosi con metafore, esempi e analogie;
Connessione emotiva: le parole usate risuonano nell’ascoltatore ed evocano in lui una risposta emotiva.
Credibilità: il pubblico deve credere a chi parla e dargli fiducia. Ciò è un aspetto critico perché si rischia di venire manipolati, credere e seguire leader negativi, mossi da interessi spesso personali e non dediti alla crescita collettiva. Questi personaggi ricercano la ribalta, la visibilità, ambiscono alla supremazia, alla popolarità e al potere, sfidando talvolta l’autorità; ma prima o poi questa vena di egocentrismo viene a galla ostentando la loro prepotenza, per cui, nel migliore dei casi, le persone fanno dietro front, ritirando il loro sostegno.
Contagiosità, ossia creare un messaggio energico, innovativo ed entusiasmante che possa essere diffuso.
Paul Watzalwick, celebre psicologo di origine austriaca esperto di comunicazione e linguaggio, formulò la teoria della “disconferma”, la quale spiega il potere distruttivo dei termini contenuti nei discorsi e i modi più comuni in cui questi feriscono:
La svalutazione: in questo caso la comunicazione ha lo scopo principale di sminuire il valore dell’altra persona; si usa dunque un linguaggio volto a screditare e a svalutare del tutto la sua essenza. Si tratta di un modo di interagire particolarmente distruttivo mosso più dall’invidia che dall’analisi della realtà.
La squalificazione: in questo tipo di comunicazione lo scopo è di “invalidare” l’altro. È un livello in più della svalutazione data la presenza di espressioni dispregiative, come “non servi a niente”, “sei la persona più inutile del mondo”, “non sei all’altezza di nessuno”; lo scopo è umiliarlo, farlo sentire incapace e minare la sua autostima.
La disconferma: questo livello di comunicazione arriva ad annullare totalmente l’individuo. Questa mira a fare in modo che venga ignorato, facendo finta che non esista. Qui il silenzio è inteso come relazione negata, capace di emarginare e annullare l’esistenza di una persona ai suoi stessi occhi.
Come affrontare parole che feriscono?
La prima condizione da seguire in qualsiasi forma di comunicazione è il rispetto. La seconda è di mantenere le distanze se l’iterazione è sempre aggressiva e infrange i nostri diritti fino ad annullarci, poiché questa è una forma di maltrattamento e allontanarsi è la difesa. Il terzo consiglio è di non ascoltare per rispondere (abitudine al giorno d’oggi diffusa), bensì per comprendere: ciò evita parole che feriscono.
La comunicazione è stata anche la chiave del successo dei grandi leader della storia, perché, come afferma Aristotele in “Politica”, l’uomo è un animale sociale, e le parole costituiscono il mezzo che noi utilizziamo, il ponte tra noi e il nostro interlocutore. Le nostre relazioni dipendono anche dalle nostre capacità comunicative e la loro qualità influisce sul nostro umore: migliori sono le nostre relazioni, più saremo felici. I leader, per essere seguiti, usano la comunicazione per trasmettere pensieri, idee e visioni. Infatti la differenza tra i grandi uomini della storia e le persone comuni era il modo in cui i primi esprimevano le proprie opinioni e ideologie, spesso sfruttando le emozioni e i desideri delle persone, perché, se quest’ultime non avessero sentito risuonare come “proprio” il messaggio, non li avrebbero sostenuti.
In sostanza dobbiamo tutti essere accorti nella scelta dei vocaboli, attenti alle emozioni che vogliamo suscitare, consapevoli delle nostre intenzioni, cordiali nelle azioni e instaurare una relazione costruttiva con il prossimo.
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