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Immagine del redattoreSara Pietrini

La tecnologia riduce il nostro cervello come quello dei pesci rossi.

Adolescenti, società e smartphone. I rischi dell’essere iper-connessi.



Internet e la tecnologia ci hanno facilitato la vita, in un certo modo facendoci credere anche di essere sempre in contatto con amici e parenti, permettendoci di conoscere anche altre persone sul web, ma siamo davvero più uniti?


Una ricerca dell’Associazione nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, cyberbullismo, gap) in collaborazione con Skuola.net dimostra che i rapporti interpersonali con la propria famiglia sono trascurati e che non si riesce a distinguere più la realtà e la finzione. Infatti, secondo questa ricerca, oltre il 30% dei giovani non pratica alcuna attività con la propria famiglia a causa delle distrazioni digitali. Però anche gli adulti risultano essere molto coinvolti da questi strumenti.


I figli, oltre a fare poche esperienze con i genitori, conoscono pochissimo della storia delle loro radici. E ciò non aiuta a creare legami profondi e può portare all’isolamento sociale. Questo è il pensiero di Lavenia, psicologo dell’Associazione Di.Te. il quale afferma che se durante l’adolescenza facciamo poche esperienze reali, se non coltiviamo ricordi e se le parole che riceviamo non sono abbastanza motivanti, rischiamo di rifugiarci in luoghi considerati più sicuri perché virtuali. Molti adolescenti, intervistati, hanno dichiarato di avere problemi a dormire perché usano il cellulare soprattutto di notte. Questo fenomeno prende il nome di vamping e si ripercuote sull’attenzione e sul rendimento della giornata. Altri problemi, correlati all’abuso di internet e dei social, sono il cyberbullismo e il sexting. Il 45% degli intervistati ha ammesso di essere stato vittima di cyberbullismo, mentre il 17% di averne compiuto uno. Le percentuali del sexting, ossia la condivisione con altre persone di foto intime, sono anch’esse preoccupanti: tra i 19 e i 21 anni il 41% riceve e invia foto intime, senza comprendere il pericolo che ciò comporta.


L’uso indiscriminato della tecnologia digitale, non ha ripercussioni solo in ambito sociale, ma, come è stato dimostrato, ha ricadute negative anche sul nostro cervello. Si è infatti studiato come il multitasking (ovvero compiere contemporaneamente diverse attività) aumenti la produzione di cortisolo, ormone dello stress, e di adrenalina, ormone che può stimolare eccessivamente il cervello e annebbiare o disturbare i pensieri. Al momento non si conoscono le conseguenze a lungo termine di questa iper-stimolazione, ma già ora vediamo quelli a breve termine: insonnia, ansia, deficit dell’attenzione, esaurimento cognitivo e depressione.


Spostare l’attenzione da un ‘attività all’altra fa bruciare velocemente glucosio e ossigeno a livello cerebrale, quindi ci si sente stanchi anche dopo poco tempo. Il neuroscienziato Levitin afferma che quando inviamo una email o rispondiamo su Twitter o Facebook il nostro cervello produce anche altri neurotrasmettitori “della felicità”, come la dopamina, si sente di aver portato a termine un compito e ci si sente soddisfatti. Per questo motivo controllare le email, Facebook e Twitter porta a una dipendenza neurale perché si ricerca in essi una ricompensa.

Il multitasking unitamente all’abitudine, ormai diffusa, di essere costantemente connessi a device, che ci bombardano incessantemente di informazioni, ha causato una diminuzione della capacità di concentrazione nelle persone: persino i pesci rossi hanno una maggior concentrazione di noi! A questa conclusione sono giunti dei ricercatori canadesi.


Sembra che il cervello si annoi, di conseguenza ha bisogno sempre di nuove notizie. Questa info-mania ci rende meno intelligenti e abbassa il nostro quoziente intellettivo (anche di dieci punti).


Secondo lo psichiatra francese Lauren Karila si è costituito un nuovo modello di uomo: “Homo cellularis” il quale se non ha campo o la batteria è scarica va in ansia. Questa dipendenza è chiamata “nomofobia” (dall’inglese: no mobile dal greco: fobia, paura), la quale è una vera e propria angoscia accompagnata anche da un senso di abbandono e di smarrimento. Il neuroscienziato Michael Merzenich dell’università della California sostiene che il cervello sia progettato per essere plastico, perciò modificabile durante tutta la vita: ha quindi la capacità di riconfigurarsi in base alle necessità, acquisendo e perdendo determinate capacità, può cambiare in meglio o in peggio.

Un ulteriore studio dell’Università di San Diego ha analizzato come il cellulare “prosciughi” l’attenzione semplicemente con la sua presenza. Gli studenti dovevano rispondere a dei test, ma solo alcuni potevano tenere vicino il cellulare: chi non aveva lo smartphone ha risolto più velocemente e con più attenzione i problemi rispetto a chi lo aveva. Per questa ragione in Inghilterra, Francia e Svizzera è proibito portare il cellulare a scuola, e ciò ha già portato ad un miglioramento del rendimento degli studenti.

I social network sono spesso creati da persone che, oltre a essere laureati in informatica, hanno studiato psicologia e quindi conoscono come agganciare la nostra mente. Per esempio Twitter si è diffuso solo quando è diventato più facile ed intuitivo da usare. Un altro meccanismo stavolta non ormonale, ma psicologico, che ci fa stare attaccati ai device, è la ricompensa variabile, fenomeno analizzato da Skinner che è alla base del comportamentismo e del condizionamento operante. Skinner aveva abituato dei piccioni a ricevere una ricompensa in cibo ogni volta che beccavano un pulsante. Per verificare se l’addestramento era legato alla ricompensa-cibo, decise di dare solo alcune volte il cibo, si aspettava che i piccioni smettessero di beccare il pulsante, ma invece lo fecero con più insistenza. Ciò dimostra che, se la ricompensa è incerta, troviamo quella attività ad essa collegata più interessante e questo ci porta a fare come i piccioni, ad esempio, a scorrere la bacheca di Instagram, Facebook o Twitter alla ricerca della prossima informazione, evento, like che ci gratifichi. Per agganciarci meglio vengono usati algoritmi che analizzano cosa ci piace e ci forniscono delle informazioni interessanti accanto ad altre noiose, per mantenere alta l’attenzione e la frenesia per una nuova ricerca. Mark Zuckerberg, creatore di Facebook è stato in grado di modificare i comportamenti e i pensieri di miliardi e miliardi di persone, solo digitando qualcosa sulla tastiera. Neppure i governi o le religioni erano riusciti a condizionare, in modo così pervasivo un numero così elevato di persone, che, senza accorgersene, ne sono rimasti condizionati, ipnotizzati.



L’algoritmo seleziona e poi ci presenta, quelle emozioni che ricevono maggiori visualizzazioni, purtroppo le emozioni che attirano di più sui social sono quelle a valenza negativa come paura, rabbia, gelosia e odio, perché sono quelle più economiche, ossia che fanno scattare istintivamente delle reazioni, mobilitano massivamente l’attenzione, ci coinvolgono da subito, facendoci trascorrere più tempo sul web.


Di fatto siamo manipolati nelle nostre scelte da terzi (i siti web) a scopi di business e abbocchiamo anche a delle propagande politiche ingenuamente, come dei pesci rossi, senza verificare se le percentuali, le informazioni che forniscono sono fondate su dati reali o provengano da fonti accreditate o se sono alterate ad arte per indurci ad aderire a quelle ideologie.


L’arrivo della tecnologia digitale ha di fatto incrementato l’analfabetismo funzionale, che non significa non saper leggere o contare, ma non riuscire a capire quello che si sta leggendo. Una recente ricerca Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), effettuata su 13 paesi, dimostra che l’Italia è la prima per analfabetismo funzionale, la metà degli italiani non riesce a comprendere un testo narrativo o un articolo di un quotidiano. Nel 1970 il 70% degli studenti leggeva i giornali o i libri, oggi la percentuale è scesa al 17%, si leggono distrattamente e velocemente solo i titoli in grande, o le sintesi sul web, senza andare in profondità, senza fermarsi a riflettere, rischiamo, quindi, di avere una percezione superficiale o parziale e spesso distorta della realtà. Questo ci induce a credere a tutto quello che viene detto da un leader politico, in modo acritico, a non distinguere le fake-news o ad esprimere giudizi sull’onda dell’emozione del momento, senza un’attenta analisi dei fatti, ci induce a prendere decisioni basate su premesse sbagliate. Questo ci espone, oggi più di ieri, al rischio di una deriva verso ideologie estremiste, o populiste, perché la democrazia ha bisogno di persone che sappiano leggere più di una frase senza distrarsi, ha bisogno di cittadini consapevoli, che sappiano riflettere, trarre conclusioni autonomamente, da premesse concrete e reali, non derivate da condizionamenti o da manipolazioni! Abbiamo creato una società che premia solo la facilità, dove tutto è accessibile con un semplice click, ma non significa che tutto ciò che si trova, sia da subito fruibile, tantomeno comprensibile, poiché servono fatica, capacità di riflessione profonda, dedizione per leggere la complessità (virtù poco esercitate e che per questo vanno svanendo). Non stiamo più esercitando il nostro cervello a porsi delle domande peculiari, ma ci limitiamo a ricercare parole chiave online, senza poi capire i collegamenti, senza seguirne il discorso o il susseguirsi di eventi e relative conseguenze. Così facendo ci stiamo trasformando in creature solo reattive, come pesci rossi, non più anche attive o riflessive. Anche le emozioni negative, le prime che il web fa scattare, ci fanno regredire al lato più primitivo, irrazionale, semplice, perché odiare è sempre più facile che cercare di capire. Tutto quello che sta avvenendo può portare a delle culture autoritarie dato che le scelte politiche sono guidate dal numero di like, visualizzazioni, o follower: vince chi grida più forte non chi ha ragione.


Dunque, cosa si può fare?

Lo psichiatra Karila fornisce alcuni consigli:

eliminare le notifiche e gli avvisi

non rispondere a tutti i messaggi perché molti sono poco importanti, quindi procrastinabili;

non utilizzare il cellulare a tavola, ma godersi la vicinanza, la convivialità con gli altri;

non usare lo smartphone per intrattenere i bambini, ma fare attività con loro, giocare, passeggiare;

non fare ricerca solo con parole chiave, ma per argomenti e darsi il tempo di riflettere;

non guardare lo smartphone durante la notte;

spegnere il cellulare, passare più tempo all’aperto a godersi la natura, osservare le persone;

ogni tanto bisogna andare in luoghi dove non c’è rete per disconnettersi;

leggere diversi quotidiani, dove le informazioni sono spiegate in modo discorsivo, invece di soffermarci solo sulle parole chiave dei titoli, per avere una visione completa della realtà e per non diventare dei “webeti”, come diceva Mentana.


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