“Berthe Morisot, vedova di Eugene Manet”. Questa la scritta sulla lapide di una delle più importanti donne dell’impressionismo francese sepolta nel cimitero di Passy a Parigi. Non troviamo nessun accenno alla feconda carriera di quest’artista che spesso è lasciata in disparte nella storia dell’arte, ma in questo articolo cercherò di mettere in luce la vita di una donna che merita di essere ricordata non solo come una delle modelle preferite di Manet, ma anche come una vera e propria artista dalla pennellata libera e vivace. Berthe nasce nel 1841 a Bourges in Francia, in un’agiata famiglia borghese che ben presto si trasferisce a Parigi. Qui inizia ad entrare in contatto con intellettuali e artisti che stimolano il suo interesse per l’arte, così, dopo aver imparato le basi della pittura dai suoi genitori, la ragazza coltiva il suo talento sotto la guida del neoclassicista Chocarne, e poi de romantico Guichard. Berthe non ha la possibilità di entrare in Accademia, in quanto donna, così Guichard la porta spesso al Louvre per studiare i grandi maestri del passato come Raffaello o Rubens. Ben presto, però, si stanca dei convenzionalismi accademici e arriva nell’atelier di Corot, uno dei più prestigiosi paesaggisti dell’epoca che la spinge a dipingere en plein air. Nel 1868 conosce il già affermato Edouard Manet con cui instaura un profondo legame di amicizia e che diventa il suo più importante riferimento artistico. L’uno influenza la pittura dell’altra: lei, infatti, inizia a dipingere scene più essenziali e figure costruite in modo meno tradizionale, mentre lui si interessa maggiormente della pittura all’aperto e usa una pennellata più rapida e meno compatta. Nel 1874 Berthe sposa il fratello di Eduard, Eugene, con cui ha un matrimonio felice; inoltre nello stesso periodo inizia a partecipare annualmente alle mostre impressioniste. L’artista dipingeva preferibilmente ambienti con donne e bambini, perché la sua condizione di donna le precludeva spesso e volentieri di girovagare liberamente come i colleghi dell’altro sesso. Tuttavia il suo punto di vista non appare ristretto, anzi, si potrebbe definire come meglio ravvicinato, poiché permette una reale partecipazione alle sensazioni dei personaggi che esprimono stati d’animo specifici e un’ottica propria. Con la sua tecnica nervosa e diretta, la pittrice indagava non solo il fenomeno percettivo, ma anche un’attenta varietà di emozioni. Insomma, sia la scritta sulla lapide, sia la dicitura “senza professione” sul certificato di morte di questa donna sminuiscono enormemente la sua arte e tutta la sua persona, che ha invece dato un contributo significativo alla storia dell’arte, e ha rappresentato uno dei primi veri slanci di emancipazione femminile dell’epoca moderna.
Miriam Sartori, 5B
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