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  • mirtillabosita

"NON TACERE ERA UNA SORTA DI IMPERATIVO CATEGORICO"


Mogadiscio, Somalia

20 marzo 1994

13:06

Ilaria e Miran vengono colpiti.

Uccisi perché sapevano, avevano trovato qualcosa. Uccisi perché hanno fatto il loro lavoro.

Ilaria Alpi è nata a Roma il 24 maggio 1961. A tredici anni si innamorò della professione di giornalista, a diciotto iniziò a studiare l’arabo e dopo l’università vinse, prima su seimila, senza alcuna “spinta”, una borsa di studio per lavorare in Rai. Fu una giornalista e fotoreporter del TG3. E’ stata uccisa, alle 13:06 del 20 marzo 1994, a Mogadiscio insieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin.

Ilaria, dovendo fare l’inviata di guerra, voleva farlo al centro della guerra, al centro delle notizie.

Stava indagando su un possibile traffico d’armi e di sostanze tossiche in cui ci sarebbe stata anche la complicità dei servizi segreti italiani. L’Italia avrebbe dato armi e denaro ai guerriglieri somali in cambio della possibilità di sversare i rifiuti tossici dei paesi industrializzati in Somalia. Furono uccisi in prossimità dell’ambasciata italiana da un commando di sette uomini tutti armati di kalashnikov. Erano di ritorno da Bosaso dove avevano intervistato il sultano del luogo Abdullah Moussa Bogor che riferì di stretti rapporti intrattenuti da funzionari italiani con il governo di Siad Barre. Di quell’intervista di due ore, in Italia ne ritornarono soltanto diciannove minuti. Si è subito lavorato per compromettere il corso della giustizia, alcuni reperti sono spariti, alcuni testimoni hanno mentito e le prove che Ilaria aveva trovato sono scomparse. Purtroppo, ufficialmente, mancano ancora i nomi di mandanti ed esecutori. La morte è rimasta avvolta nel mistero. Se la dinamica dell’accaduto è ormai nota non si può dire lo stesso della verità giudiziaria. La poca chiarezza delle indagini è stata da tutti giustificata dal fatto che forse sono sempre esistite due correnti d’inchiesta: una che vuole sapere la verità e un’altra che vuole offuscarla.

Su Ilaria e la sua Somalia sono stati fatti molti racconti con diversi linguaggi: film, musica, poesia, inchieste giornalistiche, libri…

Tra i tanti libri vi è quello di Gigliola Alvisi, Ilaria Alpi, la ragazza che voleva raccontare l’inferno che racconta la vita di Ilaria dal 12 luglio 1993 al 20 marzo 1994. Il libro racconta con semplicità e chiarezza disarmante le vicende accadute. Apre gli occhi sulla realtà: Ilaria e Miran sono stati uccisi perché avevano scoperto la verità e volevano comunicarla.

La narrazione è oggettiva e documentata da fonti dirette. I dialoghi sono accattivanti e coinvolgenti. Il ritmo è incalzante e vi si snodano episodi tragici come la strage dei giornalisti nel luglio del 1993, le mutilazioni sessuali delle bambine… fino al tragico 20 marzo. La storia è raccontata a piccole storie fino all’uccisione di Ilaria e Miran. Questo era anche quello su cui si basava il lavoro di Ilaria, quello che si era scelta: raccontare la grande storia attraverso le piccole storie, da un punto di vista che fosse vicino alla gente. La trama si intreccia con il racconto, attraverso le pagine di un diario segreto, quello di Jamila, una bambina somala immaginaria che fa amicizia con Ilaria. Nel libro si offre un doppio sguardo: quello di Ilaria e quello di Jamila. L’autrice la utilizza per aiutare a conoscere, comprendere e interpretare la storia di Ilaria. Le ultima pagine vengono scritte da Jamila che ora è una donna, vive a Parigi e dice perché Ilaria è stata importante per lei, per la sua vita; racconta quello che sa di Ilaria, della sua uccisone con parole chiare e precise.

L’autrice del libro, Gigliola Alvisi, è una scrittrice di libri per ragazzi. Vive a Padova con il marito e le due figlie. Oltre a scrivere libri, lavora in una gioielleria e organizza corsi di scrittura. Nel 2011 ha vinto il Premio Selezione Bancarellino con il libro «Non sono una bambola".

Si è interessata alla storia di Ilaria e Miran dopo la loro esecuzione e affidandosi ai servizi di Ilaria per il Tg3 e alle persone che l’avevano conosciuta personalmente, mette nero su bianco la storia.

A distanza di ormai ventisei anni, dopo numerose indagini e processi, dopo i sospetti, i depistaggi, gli errori e le omissioni nelle indagini, la verità non è ancora venuta a galla. I mandanti e i killer rimangono tuttora ignoti. L’inchiesta ad oggi è ancora aperta grazie ai genitori di Ilaria, Luciana e Giorgio, e alla Fondazione Ilaria Alpi che hanno impedito l’archiviazione del caso. L’11 luglio 2010 muore il padre di Ilaria, Giorgio, e il 12 giugno 2018 se ne è andata anche la mamma, Luciana, che fino alla fine ha lottato per avere giustizia e verità. Quindici giorni dopo la sua morte, è stata respinta la terza richiesta di archiviazione. Nell’ultimo anniversario della loro morte i vertici delle istituzioni e della Rai hanno ricordato questi due martiri della libertà di stampa.

“Essere, vivere, fare giornalismo: tre dimensioni difficilmente separabili in Ilaria. Per lei conoscere, cercare, svelare, raccontare… non tacere era una sorta di imperativo categorico.”

Bernardi Elettra, 3EL



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