/sa-cri-fì-cio/
sostantivo maschile
Rinuncia grave, privazione dolorosa sopportata con rassegnazione per il bene di altri o per necessità.
Privazione, rinuncia, disagio imposto da determinate condizioni o sopportato in vista di un dato scopo.
Tuttavia sacrificio acquisisce grandezza anche all’interno dell’ambito religioso, forse è proprio a questo campo che viene ricollegato più spesso.
L’offerta di una cosa, un animale, una persona, fatta dall’uomo a una divinità, a un morto, a un’entità extraumana, o a una persona viva in cui si crede incarnata la presenza del sacro; è compiuto in lode, o come espiazione o impetrazione, oppure per appropriarsi le energie divine.
In ogni religione, la parola sacrificio assume differenti significati:
nello zoroastrismo consisteva solamente nel bruciare legno di sandalo;
nella religione greca e romana era fatto da libagioni oppure da sacrifici veri e propri di animali come bue, maiale, capra e pecora;
nel buddismo indicava offerte di fiori, incenso, cibi e bevande;
nella religione ebraica consisteva nello sgozzamento di animali sia quadrupedi che uccelli;
nel cristianesimo, invece, il sacrificio venne abolito già nel Vangelo, è quindi simboleggiato solamente dall’Eucarestia ovvero l’offerta del pane e del vino cioè il corpo e il sangue di Cristo;
mentre nell’Islam venivano compiuti sacrifici di mammiferi a sangue caldo.
Ciò nonostante per capire appieno la parola sacrificio non serve tornare indietro di secoli ai culti religiosi; oggi, nel 2021, con questa pandemia in corso, noi, in prima persona, compiamo sacrifici che vanno al di là delle credenze religiose. Sacrificio è una parola enorme in questo periodo. Sono infinite le storie di persone che adesso, durante la pandemia e il lockdown, compiono ogni giorno sacrifici. Chi per proteggere le persone care, chi per necessità, per obbligo, per volontà…
Prendiamo, per esempio, la storia di Stefano, volontario della Croce Rossa a Bergamo. Stefano si è messo al servizio della sua comunità, sacrificando il proprio tempo per aiutare chi aveva bisogno. Nel culmine della pandemia i turni erano estenuanti: dalle 8 alle 20 o dalle 20 alle 8, senza pause. Bisognava essere pronti un’ora e mezza prima dell’inizio, per la preparazione del materiale, la sanificazione, la vestizione… Eppure, con la forza di volontà e la voglia di fare del bene, nonostante aver sacrificato il proprio tempo e mettendo anche a repentaglio la propria salute, Stefano ci ha dimostrato come sia possibile dare il buon esempio e aiutare il prossimo.
Quest’inverno mi ricordo di aver letto un articolo di una mamma che raccontava la vita in casa divisa tra lockdown e dad. A casa c’erano tutti e tre i figli e il marito, in smart working. Appartamento piccolo, di pochi metri quadri. Connessione di norma efficace, ma quando a essere collegate sono quattro persone inizia a vacillare. Ed è così che tutte le mattine quella donna era costretta ad uscire di casa. Con l’appartamento piccolo e quattro webcam accese non c’era posto per la mamma che gira per casa facendo i lavori domestici. Allora le opzioni erano due: rifugiarsi sul balcone oppure andare al supermercato a fare la spesa. Tutte le mattine, per mesi.
Questa è solo una delle tante storie della pandemia ed è solo uno dei tantissimi sacrifici compiuti da tutti noi in questo periodo.
Enormi sacrifici li hanno fatti e li stanno facendo tutti quei medici che ogni giorno lottano per salvare vite, mettendo a repentaglio, a volte, la loro. Una tra le tante è la storia di Alessia, infermiera diventata famosa per aver postato una foto dove mostra i lividi causati dai dispositivi di protezione. Raccontava di come fosse difficile per lei e tutti i suoi colleghi affrontare la pandemia dentro un ospedale. Fisicamente e psicologicamente. Aver paura che la mascherina lasciasse passare qualche microscopica particella o non poter andare in bagno per sei ore perché il camice non lo permetteva, oppure cercare di ignorare il caldo e il sudore che il camice procurava e continuare ad aver paura che gli occhiali non aderissero abbastanza. Questo per continuare a lavorare e salvare la vita di persone. Alessia concludeva con un appello, a tutti quanti, chiedendo di fare un piccolo sacrificio, e cioè di stare a casa e seguire le regole.
Se ci guardiamo intorno ci accorgeremo che ognuno di noi compie qualche sacrificio, per quanto piccolo possa essere. Eppure un sacrificio non è mai qualcosa di insignificante. Pensiamo, ad esempio, a chi si trova in quarantena fiduciaria perché contatto stretto di un positivo o agli asintomatici. Nessun sacrificio abnorme come quello fatto dai medici in prima linea ma, di punto in bianco, la normalità crolla e ci si vede costretti a costellare la propria routine di piccoli sacrifici per proteggere i propri cari e chi vive assieme a noi. Allora per due settimane si mangia in camera, da soli, ci si sposta dalla camera al bagno con la mascherina, qualsiasi cosa toccata va igienizzata, qualche scambio di parole con gli altri della famiglia mentre ti passano il vassoio per il cibo… Per chi si trova in quarantena fiduciaria non è certa la positività. Esistono i tamponi rapidi che però possono non rivelare i cosiddetti ‘debolmente positivi’ ovvero quelli all’inizio o alla fine della malattia e quindi, per scrupolo, si continua la quarantena, fino ai 15 giorni. Niente di troppo terribile, è vero; psicologicamente, però, ha un impatto pesantissimo sul nostro umore eppure sono piccoli sacrifici che possiamo fare per proteggere chi amiamo.
Con questa pandemia abbiamo scoperto tante cose, ci ha aperto gli occhi sulla vita prima del covid, su quanto poca importanza dessimo alla nostra libertà e alla cose banali che però ora non lo sono più. Ci ha anche insegnato il significato della parola sacrificio: rinuncia, privazione, disagio ma sopportato. Portato avanti per il bene di altri, in vista di uno scopo. Ecco che sacrificio, visto spesso con un’accezione negativa, prende un significato più profondo e più intimo. Diventa un dono che creiamo per il bene delle altre persone.
Elettra Bernardi 3EL
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