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  • Immagine del redattoreSara Boanini

Storia del proibizionismo: speciale assemblea

Virgiliani, come già sapete, tra pochi giorni potremo finalmente partecipare alla prima assemblea filmica di questo nuovo anno scolastico e, incredibilmente, l’ultima del 2020. Ovviamente non potremo riunirci all’Ariston per le nostre solite assemblee tra esperti e popcorn sparsi ovunque (e purtroppo tanto assenteismo), ciononostante i temi da affrontare rimangono vari e molto interessanti.


Proprio da qui nasce lo “speciale assemblea”, per permettere a tutti di arrivare pronti al grande giorno e poter partecipare -almeno proviamoci- attivamente al dibattito.

Quindi, per cominciare, spieghiamo cos’è e come si è originato il proibizionismo, obiettivo meno complesso di quanto possa sembrare, per poi considerare più da vicino come ancora oggi latiti nella la nostra società.


Con proibizionismo si intende per antonomasia il periodo che negli Stati Uniti va dal 1920 al 1933, e che durante l'assemblea verrà analizzato in riferimento alle droghe, soprattutto alla cannabis e ai suoi derivati. Sancito tramite il XVIII emendamento, poi annullato, e il Volstead Act, dal nome del deputato che formulò tale proposta, il suo obiettivo era quello di attuare il cosiddetto “The Noble Experiment”, vietare all’interno degli States la fabbricazione, la vendita, l’importazione e il trasporto di alcol. I fautori erano convinti che aumentando il prezzo delle bevande alcoliche non solo si sarebbe riusciti ad educare e responsabilizzare i cittadini americani, bensì anche ad eliminare letteralmente ogni male nel mondo.

Nel diciannovesimo secolo si era diffusa infatti l’idea che la maggior parte dei problemi a livello sociale ed economico provenisse da un sovra consumo di alcolici, dalla povertà diffusa nei quartieri più modesti alle carenze sul lavoro, fino alle violenze perpetrate sulle donne. Tagliando direttamente il problema alla fonte quindi, i partiti più conservatori si aspettavano di poter finalmente chiudere “le porte dell’Inferno” per sempre, come dichiarato dallo stesso Volstead all’indomani della proclamazione dell’atto. Peccato che non avessero fatto i conti con la determinazione dei cittadini che pensarono di essere stati privati illegittimamente di una loro necessità.


Speakeasy, locali segreti in cui venivano illegalmente vendute bevande alcoliche, contrabbando, mercato nero, aumento della criminalità, come dimostrato dal successo di Al Capone, e peggioramento della sanità, dovuto alla realizzazione di alcolici o derivati adulterati con coloranti o altri liquidi, furono solo alcune delle conseguenze per lo più inaspettate della riforma. Invece di comprendere l’errore, le Società per la Sobrietà, che per prime avevano sostenuto l’emendamento, fecero ulteriore pressione sul Congresso per ottenere un regime di tolleranza zero con il quale anche il solo consumo di alcol sarebbe stato severamente punito.



Nonostante l’abrogazione della riforma nel 1933 da parte dell’allora Presidente Roosevelt, con la firma da parte dello stesso del Marijuana Tax Act quattro anni più tardi risulta evidente che la lezione precedente non sia ancora stata imparata. Mascherata da semplice legge di tassazione, l’obiettivo di quella che in realtà era una vera e propria legge proibitiva era di impedire negli Sati Uniti la coltivazione di qualsiasi tipo di canapa, anche a scopo curativo. In seguito ad una campagna mediatica allarmistica ed oscurantista caratterizzata da film d’exploitation e reinterpretazioni di fatti di cronaca nera, portata avanti dal maggior promotore dell’atto, Harry Anslinger, nonchè ispettore dell’agenzia che più guadagnò dal suo ingresso in vigore, le misure furono poi alleggerite perché la canapa divenne necessaria per la costruzione, durante la Seconda Guerra Mondiale, delle gomene delle navi americane le cui materie prime erano bloccate in Giappone.



Uno dei manifesti della campagna mediatica contro la marijuana



Ancora oggi, secondo alcuni giornali, l’unico Paese europeo che sembra superare le tendenze proibizionistiche è il Lussemburgo, mentre in Italia la situazione rimane ancora indeterminata. L’uso terapeutico della cannabis nel nostro Paese è stato permesso nel 2007 e da quel momento viene coltivata nelle serre dello Stabilimento farmaceutico militare di Firenze. Nonostante sia stato tra i primi in Europa a dotarsi di precise leggi sul tema, la produzione, l’importazione e la prescrizione risultano ancora estremamente complesse e la sua legalizzazione non è stata ancora del tutto accettata, come dimostrato dal tentativo nel 2019 di chiudere tutti i negozi specializzati nella vendita di prodotti derivanti dalla canapa.


Il 2 Dicembre 2020, anche se con un margine molto ristretto di 27 sì e 25 no, la Commissione ONU sulle Droghe ha ufficialmente eliminato la cannabis dalle sostanze contenute nella quarta tabella della Convenzione ONU sulle sostanze stupefacenti del 1961, la stessa della cocaina e dell’eroina, dando inizio ad una nuova era per le ricerche mediche e scientifiche riguardanti questa pianta.


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