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Storia di Stefano Cucchi: speciale assemblea

In data giovedì 22 Ottobre 2009 Stefano Cucchi è morto. E non si è trattato di una scomparsa naturale, bensì dell’esito di un crudele massacro. Nonostante i numerosi depistaggi e le bugie con cui gli assassini hanno tentato di salvarsi la pelle, alcuni indizi riportavano ai carabinieri che avevano in custodia Stefano la sera dell’arresto. Di fatto, la procura di Roma ha indagato su cinque militari dell’Arma e ha raccolto alcune prove indispensabili per delineare il contesto in cui si è consumata la violenza. Sembra che il pestaggio più grave sia avvenuto la sera tra il 15 e il 16 Ottobre, quando i carabinieri, “infastiditi” per non aver trovato nell’abitazione di Cucchi la droga che cercavano, sono passati alle mani. Una dinamica di questo tipo spiegherebbe il motivo per cui non è stato fatto il fotosegnalamento necessario al momento dell’arresto, che consiste nel raccogliere le impronte papillari, digitali o palmari, la fotografia e i dati anagrafici e descrittivi del soggetto.


Un testimone chiave, l’appuntato Riccardo Casamassima, ha accusato Roberto Mandolini, indagato per falsa testimonianza e all’epoca comandante della stazione Appia, da cui i cinque partirono per arrestare Cucchi. Mandolini sapeva come erano andate le cose. Casamassima però, nel verbale del 30 Giugno 2015, si spinge oltre, arrivando a dire: “Sembrerebbe una cosa preparata prima, cioè che i carabinieri sapevano che Cucchi aveva un quantitativo importante e lo cercavano a casa dei genitori, non trovando nulla hanno cominciato a menarlo”.


Venti giorni dopo la morte del ragazzo, i genitori, andati a ritirare gli effetti personali del figlio nell’abitazione, hanno consegnato alla magistratura 900 grammi e passa di hashish e un etto di cocaina. E’ evidente che durante l’operazione ci sia stata qualche anomalia e ciò emerge anche dalle contraddizioni nelle deposizioni dei carabinieri. Ciò nonostante, dopo molti anni, il giudice ha parlato di omicidio preterintenzionale, condannando due agenti a dodici anni di prigione.


Prima della vicenda Cucchi ci sono state altre storie simili, che hanno visto le forze dell’ordine carnefici e torturatrici. Il 25 Settembre 2005 moriva Federico Aldrovandi e i quattro agenti protagonisti del massacro sono stati inizialmente condannati a tre anni e mezzo per omicidio colposo, condanna poi ridotta a sei mesi per l’indulto. Solo tre di loro hanno effettivamente scontato la pena in carcere e ora, a parte un agente in pensione, tre sono in servizio. Con Aldrovandi è crollato il tabù dell’infallibilità delle forze dell’ordine e si sono aperte le porte al percorso volto ad introdurre in Italia il reato di tortura.



Martina Bosi, 5C

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