Era il 1960 quando, dopo una vita che aveva colmato la sua anima fino quasi a farla esplodere, Fred Uhlman pubblicava la sua autobiografia. Moriva poco dopo, nel 1981, senza sapere che le sue opere avrebbero avuto un successo internazionale.
Se non fosse per “Storia di un uomo”, sapremmo molto poco sull’esistenza di Uhlman.
Potremmo trarre informazioni biografiche da altre fonti, ma mai comprendere appieno il suo tormento, la ricerca di un senso nella crudeltà degli eventi, la rabbia per ogni ingiustizia e la battaglia per l’uguaglianza. Scrive ogni pagina con profonda onestà e un’amara ironia, proprio la stessa che la vita gli ha dimostrato.
Uhlman dà inizio all’opera con la ricerca delle sue origini nella Germania dell’800. Figlio di commercianti ebrei tedeschi, non esita a spostarsi nell’individualità della sua famiglia: “Di tutti i matrimoni che ho visto in vita mia, quello dei miei genitori fu senz’altro il più infelice”, afferma. Dipinge con freddezza la sua infanzia, per destreggiarsi nel dolore, e racconta come il padre fosse deluso dalla vita e crudele con lui, che considerava un fallimento. Nonostante la durezza di quegli anni, però, si consola nella consapevolezza della sua sensibilità, della sua profonda intelligenza, traendone fonte inesauribile di speranza.
Ormai adulto, Uhlman avrà modo di compiere una vendetta sulla famiglia, non permettendo alla sorella di salvarsi dalla persecuzione nazista. É con tormento che racconta tale evento, il quale, oltre a segnare la fine del suo rapporto con i famigliari, non gli permetterà mai di darsi perdono.
L’infanzia e l’adolescenza dell’autore trascorrono nel fragore del primo Conflitto Mondiale, tra le velate discriminazioni a scuola, la battaglia per l’uguaglianza e la ricerca di modelli al di fuori della sfera famigliare.
Rifugiandosi nelle opere di filosofia, poco prima dei vent’anni, identifica una chiara e cinica prassi di vita: “Devo vivere come se la vita avesse significato”, scrive, “come se Dio esistesse, come se fingere di crederci fosse importante per mirare in alto”. Ma forse tali parole nascondono, oltre che l’immaturità giovanile, una speranza profonda, la volontà di trarre anche dalle esperienze peggiori la forza per andare avanti e di vivere con dignità. Sollecitato dal padre, si iscrive all’università di Friburgo per studiare odontoiatria, ma finisce per studiare legge a Monaco e Tubinga, trovando nei compagni amici di corso sinceri e fidati. Dopo la laurea, esercita per pochi anni, gioioso di poter difende i più vulnerabili e bisognosi con la sua professione.
Ma tutto cambia alla scalata del potere di Hitler. Per sfuggire all’imminente persecuzione razziale, consigliato da conoscenti, decide di cambiare ogni aspetto della sua vita e si rifugia in Francia.
Gli anni a Parigi vengono descritti come i più felici e spensierati, trascorsi nel brivido di vivere in una città tanto affascinate quanto insidiosa.“Uno dei privilegi della bella Parigi”, scrive, “è che puoi nascerci, viverci e morirci senza che nessuno se ne accorga.”.
Per sopravvivere si dedica all’arte, nella quale il suo lato realista lascia spazio alla creatività e alla pazienza. Anche nell’arte trova un modo per sperare: gli permette di non lasciarsi influenzare dalle convinzioni crudeli della sua gioventù: arriva perfino a credere nel destino. Si aggira per i malfamati locali frequentati da pittori e conosce alcune tra le personalità dell’epoca: Picasso, De Chirico, Utrillo.
La sua carriera, però, non è una sufficiente fonte di reddito e decide di cimentarsi in un altro incarico: il commercio abusivo di pesci tropicali. Scrive con ironia delle numerose precauzioni attuate per la sopravvivenza delle creature, descrive l’immensità e la luminosità dell’acquario che gestisce, la meraviglia di un impiego tanto diverso da ogni altro che avrebbe immaginato di praticare. La sua vita è ora scandita da ore spese nel cambio dell’acqua di variopinti e rari esemplari, e da alcune ore di pittura. Attraverso i colori dei pesci e quelli della pittura a olio, sembra potersi tingere anche la sua felicità. Il periodo francese ha fine nel 1936, quando si trasferisce in un piccolo villaggio sulle coste della Spagna, tornando a dipingere. Qui, in un’occasione fortuita, incontra la sua futura moglie, la bella e gentile Diana Croft. Sarà proprio lei, prima grande amica, che non gli negherà aiuto nel momento più economicamente scoraggiante della sua vita. Grazie a lei, Uhlman può raggiungere l’Inghilterra e trovare conforto nell’apprendere i fondamenti della cultura del paese. Si sposano nello stesso anno.
Potrebbe sembrare la conclusone ideale delle esperienze della vita dell’autore, ma ancora una grande svolta è prevista dal destino.
In seguito allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, infatti, il governo inglese lo internerà sull’isola di Mann, insieme a molti altri stranieri e criminali. In quel periodo conosce la follia, e sperimenta l’attesa vana, ma, soprattutto, che il desiderio di libertà unisce ognuno, a prescindere dalla nazionalità.
Al suo ritorno a casa, sei mesi dopo, non riuscirà facilmente a guarire dallo sconvolgimento della prigionia, ma grazie alle cure della moglie riuscirà a ritrovare la felicità.
Scrive allora le sue opere letterarie, tra cui “L’amico ritrovato”. Utilizza tale romanzo per denunciare le leggi razziali che infuriano in Germania, per difendere il suo popolo e le origini anche da lontano.
Improvvisamente, il ricordo si ricongiunge con il presente e Uhlman non ha più nulla da raccontare: ha dato fondo alla memoria. Conclude l’autobiografia con parole poetiche che, oltre a giustificare la sua opera, sembrano donare valore alla sua intera vita.
“È la storia di un uomo... la cui unica ambizione, ahimè irrealizzabile, è raggiungere le stelle non con un razzo ma con la propria arte”, afferma, “La ragione per cui ho raccontato la mia vita non è perché avessi grandi avvenimenti da immortalare, ma perché è la storia di un uomo medio e del suo tempo. Di un uomo, il quale, sorpreso da uno degli uragani più furiosi della storia, è sopravvissuto a un disastro che ha inghiottito interi continenti e milioni di persone migliori e meno fortunate”.
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