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Immagine del redattoreSofia Brombini

Strega

Aprile 1326


Mi chiamo Morrigane e ho dieci anni. Vivo con la mia mamma in un bosco vicino ad un villaggio della Germania meridionale. Mia mamma è una guaritrice, proviene da una lunga discendenza di sacerdotesse celtiche e, sebbene entrambe crediamo nel Nostro Signore Gesù Cristo, lei usa ancora le sue conoscenze in fatto di erbe medicali per dare una mano ai contadini del villaggio.


Uno dei miei primissimi ricordi risale a quando mia mamma ha visitato la casa della signora Nala perchè uno dei suoi figli, Lyor, aveva la febbre alta e puntini rossi in tutto il corpo. Il medico del paese aveva provato a curarlo senza riuscirci e il prete era già venuto a confessarlo in vista del suo funerale. Però la mamma non si era arresa: appena Nala l’ha chiamata, si è avventurata nel bosco fino a notte fonda alla ricerca di un’erba speciale. Prima di raggiungere la villa, mi ha spiegato che basta tritare le foglie e aggiungerle in un composto di vino e miele perchè il bambino stesse subito meglio. E così è stato: già il giorno dopo Lyor ha potuto alzarsi dal letto e la febbre era totalmente scomparsa. Quel giorno la signora Nala, per ringraziarci, mi ha regalato un pupazzetto a forma di orso che ho chiamato Banshee, come una delle nonne di cui la mamma mi raccontava storie fantastiche per farmi addormentare.


Da qualche tempo la mamma mi ha detto che sono diventata abbastanza grande per imparare l’arte della guarigione e poter aiutare tante persone come hanno fatto lei e le nonne. Però, negli ultimi giorni, nel villaggio è arrivato uno strano gruppo di uomini vestiti di bianco che si fa chiamare “inquisitori” e a cui non piacciono i farmaci della mamma. Gli abitanti hanno cominciato ad insultarci mentre cercavamo di vendere le nostre piante al mercato. Hanno iniziato a sputare addosso alla mia mamma chiamandola “strega”, ma io le conosco le streghe: sono vecchie e brutte, con i denti storti e i lunghi capelli neri unti e annodati; la mia mamma invece è giovane e bella, con i capelli biondi simili a fili d’oro sempre ben intrecciati e gli occhi verde smeraldo come quelli dei gatti in una notte di luna piena. In seguito poi hanno continuato a schernire anche me, additandomi come “figlia del demonio” anche se tutti sanno che il mio papà è morto combattendo contro i nemici dell’imperatore.


In men che non si dica sono arrivati gli strani uomini vestiti di bianco per portarci via. Un signore con la lunga barba mi ha condotto in una piccola stanza buia ed ha iniziato a farmi delle domande sulla mia famiglia e sulle “magie” della mamma. Proprio mentre stavo per rispondere, un urlo lontano mi ha strozzato le parole in gola: era la mia mamma, perchè le stavano facendo del male?

L’uomo mi lascia da sola in quella cella fredda e buia per un numero incalcolabile di ore, fino a quando la porta di legno e ferro battuto non viene aperta da una figura che silenziosamente mi conduce su un carretto trainato da un asino. In quello stesso c’è una donna con il volto bruciato e pieno di lividi. Con le lacrime agli occhi riconosco mia mamma. Lei mi accoglie tra le sue braccia e mi sussurra all’orecchio: «Non piangere mia piccola Morrigane, noi siamo più forti di loro e dobbiamo dimostraglielo». Il carro si ferma nella piazza centrale, dove una folla di contadini ammira una catasta di legna con un palo al centro. La mamma ed io veniamo portate fino in cima al mucchio e legate intorno all’asta. Davanti a noi compare l’uomo bianco con la lunga barba che grida con disprezzo: «Aine e Morrigane della terra di Connacht, siete colpevoli di stregoneria e per questo verrete bruciate sul rogo in nome di Dio e della Santa Inquisizione». Appena tace, noto che delle fiammelle sono state accese ai nostri piedi ed impaurita mi volto verso mia mamma. Lei mi guarda sorridendo e nei suoi occhi verde brillante vedo riflessi i miei viola. Sorrido.


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Il fumo alto si staglia nell’azzurro cielo sopra il villaggio, io, la mamma, la nonna Banshee e centinaia di altre donne siamo nel mezzo del bosco sacro e siamo pronte ad intraprendere il nostro percorso verso il destino.


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