Tante volte leggiamo, viviamo ed esaminiamo la parola “femminismo”: chi con occhio critico e restio, chi sospirando scocciato, chi con trasporto distribuisce nozioni di un’ideologia più coniata sul momento (talvolta per necessità di esprimere rammarico e frustrazione personali) che effettivamente fondata sulla storia e nel tentativo di arruolare quante più persone favorevoli al cambiamento; chi, semplicemente nascondendosi dietro a un grande punto interrogativo, si scosta dall’argomento e preferisce l’indifferenza.
Spesso mi capita di pensare a quanto sia scontato sentire parlare di donne da una donna, di quanto appaia sottile la barriera tra l’autocommiserazione, il vittimismo e al contrario il vero coraggio e la forza d’animo di cui certe storie si rendono testimoni. Ritanna Armeni, giornalista italiana, nel 2018 decide di voler mantenere vivo il colore di una realtà storica che rischia di sbiadire nel tempo, in Russia; una realtà storica che imprime sulla carta passione, dedizione, tenacia e sconvolgente emancipazione femminile che non necessitano di essere commentate o spiegate ma la cui semplice lettura è in grado di catapultare in un mondo chiarificatore in cui, finalmente, sembra di poter incontrare sul dizionario l’esempio contestualizzato di un termine il cui significato risulta criptico.
Era il 1938 quando alcune donne russe, laureande a Mosca e iscritte al partito del Komsomol, si sentirono rispondere “centraliniste” alla richiesta di partecipazione attiva all’imminente Guerra Mondiale. Centraliniste. Questo l’unico aiuto che ragazze studiose di fisica, matematica e astronomia ad alti livelli potevano fornire al paese che incitava all’arruolamento e al senso di appartenenza alla patria, culla natale del Comunismo e a quanto pare anche necessitante di una lente di ingrandimento sulle valide e coraggiose donne che lo popolavano e di cui sembrava quasi prendersi gioco. L’accontentarsi non rientra però nella tenacia e nell’ardore di persone colte, giovani e pronte a battersi, indipendentemente dal loro genere. Nonostante la pesante diffidenza iniziale e le dure prove discriminatorie da parte dell’esercito maschile, queste ragazze contribuirono essenzialmente alla vittoria della Russia sulla Germania di Hitler. 23000 voli in più di mille notti su minuscoli biplani (Polikarpov) sganciando bombe sugli accampamenti tedeschi divennero la principale ragione di vita e sopravvivenza mentre costantemente si lasciavano la morte alle spalle in silenzio e di nascosto dalle loro famiglie, sopportando l’umiliazione dell’inferiorità supposta dell’essere femmina. Le chiamavano “Streghe”, fluttuavano nel cielo furtive e la loro comparsa incuteva terrore per chi aveva i piedi incollati al suolo, mentre nelle loro vene scorreva adrenalina pura. Irina Rakobolskaja, superstite novantaseienne (al tempo della scrittura del libro) e narratrice delle fonti, strega a capo del reggimento 558 di sole aviatrici femminili, morì insieme alla sue eroiche imprese nel 2016. Donne come Irina o Marina Raskova, che non ebbe timore di scommettere sulle sue ragazze davanti a Stalin per convincerlo a istituire reggimenti completamente in rosa, non possono essere dimenticate: hanno agito, non per chiedere un trattamento di favore, vantaggi o uguaglianza solo in circostanze di convenienza; hanno smosso un sistema per essere trattate e considerate pari, senza sconti di fatica, senza eccezioni di gratificazioni né di rimproveri. Così l’azione di queste grandi figure dovrebbe guidarci verso un senso di gratitudine talmente vivo da non permettere di rendere alcuno sforzo vano o trascurabile, in modo da avvicinarci sempre più alla meta di uguaglianza che da secoli rincorriamo. Una donna può tutto, esattamente come un uomo.
Alice Roffia 4A
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