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Immagine del redattoreSofia Brombini

Una parola

Aggiornamento: 21 nov 2021

“Ti va di fare un gioco? Dimmi una parola”

Questa è la frase che dice più spesso il piccolo Sasha durante le nostre sedute. A sette anni si è troppo piccoli per capire cosa sia veramente uno psicoanalista e, per quanto mi sia possibile, mi preoccupo personalmente che il bambino non lo scopra nel breve termine. E così la squallida stanza dell’orfanotrofio si trasforma quasi per magia nei posti preferiti dei più piccoli. Un castello fiabesco? Un’astronave spaziale? L’isola del tesoro? Nulla è impossibile con l’immaginazione e una buona dose di peluche.

Attualmente mi trovo nella stanza di un pittore insieme a Sasha e, mentre disegniamo assieme con pastelli e cerette, mi racconta di sé. Trovare un’attività che distragga il bambino è un’ottima scorciatoia per raggirare la psiche del piccolo che tenta di rinchiudere nell’inconscio ciò che non vuole ricordare e di certo i fogli bianchi aiutano a scaricare la tensione.

Sasha è un bambino speciale, completamente diverso da tutti gli altri. È qui con noi solamente da cinque mesi e già sembra aver elaborato il lutto che lo ha investito come un fiume in piena: è infatti l’unico superstite di un brutto incidente navale che ha fatto affondare due barchette nel lago fuori città e ha seppellito due famiglie molto amiche tra loro, entrambe con figli molto piccoli, Sasha e Ricky. Sebbene ad una prima occhiata Sasha sembra non capire quello che sia successo quel giorno, in realtà è consapevole di tutto ciò che sta intorno a lui e il timore di perdere qualcun altro lo porta a isolarsi dai coetanei e rinchiudersi nel suo mondo fantastico dove gioca con l’amico immaginario Tiki.

“Giochiamo insieme alle parole signorina?”, mi prega incessantemente il bambino, fino a quando non acconsento con sguardo sorridente. È così insolito come gioco per un bimbo, penso tra me e me mentre tutto entusiasta mi spiega per la centesima volta le regole: “Allora, lei mi dice una parola e io le racconto una storia, dopo lei deve disegnarmi tutto quello che le ho detto senza dimenticarsi nulla, va bene?” Accenno un lieve sì con la testa e pronuncio la parola <sole>. Cominciamo con qualcosa di facile, vediamo cosa salta fuori. Sasha comincia a guardare verso la finestra, come ogni volta che inizia ad immaginare una avventura in qualche universo fantastico, ma noto subito che c’è qualcosa che non va: i suoi occhi brillano più del solito oggi, è proprio una storia che vuole raccontare.

Il paesaggio in cui mi porta il bambino è quello di una calda giornata al mare, dove i genitori leggono il giornale sotto l’ombrellone e i bambini sguazzano felici nell’acqua. Successivamente proprio questi ultimi decidono di fare un’immersione e, dopo aver preso gli occhialini e aver salutato le mamme, si tuffano nel blu. È molto strano che qualcuno con un trascorso come il suo trovi divertente stare nel bel mezzo del mare, penso senza farci molto caso. Sasha mi esorta a iniziare a disegnare e riparte con la descrizione di quello che vede nella sua esplorazione. Mi racconta dei pesci che incontra con una minuzia impressionante, quasi li avesse visti tutti sul serio volteggiare nella stanza. Mano a mano che l’immersione procede, il piccolo non parla più dei suoi amici, come se improvvisamente essi non fossero mai esistiti e non descrive più pesci variopinti, ma solo ombre scure che gli passano davanti agli occhi. Inizio a preoccuparmi seriamente quando inizia a dire che tutto quello che lo circonda è il nero totale. “Sai dove ti trovi ora nel tuo racconto?”, chiedo angosciata. “Sì, sono sul fondale, non vedo più il sole ma sento la sabbia fredda e fangosa che mi circonda. Signorina, aiutami”. Gira di scatto la testa verso di me e mi fissa con occhi spenti per un istante lunghissimo prima di avere un attacco epilettico talmente grave che sono costretta a chiamare le infermiere.

Quando si sveglia io mi trovo accanto al suo letto e immediatamente chiedo: “Come stai Sasha?”. La sua risposta mi ghiaccia il sangue nelle vene.

“S-signotina io s-sono T-Ticky, S-sasha eta il m-mio migliote amico, p-petò o-ora è m-motto, p-petchè mi c-chiama come l-lui?”.

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