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  • aliceroffia2003

Utopia: ideale e inesistente

Aggiornamento: 21 nov 2021

Vivere ora in un mondo che non è.

Voler vivere in un mondo che, oggi, non è più.

Viviamo in un limbo tra il rimpianto di ciò che era e la scontentezza di ciò che è, crediamo all’ideale che secondo noi sarà.

Ma è l’ideale una via possibile?

Possono la natura dell'uomo e la perfezione coesistere?

Concretezza del particolare con astrazione dell'universale?

È giusto porsi come obiettivo, come fine ultimo la perfezione?

Thomas More concretizza perfettamente l’astratta perfezione modellandola all'umano nella sua isola ideale ma tralascia un dettaglio fondamentale: il corrispondente adattamento dell’uomo alla perfezione. Più precisamente non lo tralascia, ne sottolinea anzi l’irrealizzabilità: snatura l’essenza umana della diversità, dell’unicità, della soggettività rendendo l’essere umano una specie di oggetto quasi senz’anima e pensiero irrazionale, mai comandato dall’emozione. Lo rende un soldato della ragione, un esecutore di nomos (leggi) e di abitudini, negandogli il genio creativo.

È questa utopia, luogo ideale quanto inesistente e, per fortuna, irraggiungibile.


Gli opposti si attraggono.

Spesso partiamo a costruire noi stessi e le nostre convinzioni sulla base di ciò che consideriamo nostro opposto: non siamo scissi da ciò che ci è apparentemente lontano, ma indissolubilmente legati a ciò che pensiamo inconciliabile con noi.

Per sviluppare il positivo altro non facciamo che distanziarci e opporci al negativo.

Così Moro lascia che la sua Utopia proceda parallela alla realtà storica a lui contemporanea che lui stesso non condivide e disprezza.

Non solo, Utopia nasce da essa, si modella metaforicamente sviluppandosi su un concetto di contrarietà e opposizione, creando così una specie di cordone ombelicale che le rende gemelle eterozigoti.

Francia/Inghilterra del 1500 e l’isola ideale, come Epimeteo e Prometeo, due simili opposti, accomunati dall’errore e dal rischio: chi erra affidandosi a Pandora a causa di un ragionare tardivo (Epimeteo) e chi, dotato di straordinarie doti, comunque prende una decisione istintiva, rubando il fuoco e donandolo agli umani, azione che lo condannerà alla sofferenza eterna (Prometeo).

Due estremi, un altro dualismo, nessun equilibrio, nessuna soluzione.


Viviamo secondo un idealismo nocivo, convinti che ci porterà lontano da ciò che riteniamo non adatto, deviante o erroneo, quando in realtà altro non facciamo che avvicinarci allo stretto opposto dell’esagerazione da cui tentiamo di fuggire.

“Oggi invece ogni palazzo dalla forma più che bella è a tre piani e le sue mura esterne sono fatte di pietra dura o grezza o di mattoni cotti, i rottami posti tutti all’interno della cavità. “. Così noi ci mostriamo conformemente protetti da un’apparente resistenza, forza e in senso più astratto dal coraggio di affrontare la vita (muri esterni di pietra a mattoni) e preferiamo seppellire nei meandri del nostro io tutto ciò che è stato e che imprescindibilmente è ancora parte di noi (rottami) ,nel bene e nel male, ma che forse, perchè non omogeneo e conforme a ciò che ci circonda, tendiamo a disprezzare e a nascondere. Occultiamo i nostri particolari per uniformarci a un’apparenza universalmente perfetta, particolari che seppur imperfetti caratterizzano l’unicità e l’ingegnosità dell’uomo (esattamente come sostenuto dal dio Momo nelle operette Morali di Leopardi, dove la figura di Prometeo ritorna protagonista).


Ho letto Utopia per la prima volta sette mesi fa, non lasciando la possibilità alle sue complessità nascoste di espandersi nello spazio libero della mia mente. Sette mesi fa ho guardato le pagine di Utopia e mi sono dimenticata di provare a viverle; da un mese a questa parte invece, riaprendo e chiudendo la copertina, tutti i giorni faccio un viaggio di andata e ritorno dall’isola rispondendo alle sensazioni e alle emozioni di chi, come la piccola Wendy di Barrie, e il saggio Bennato vola o canta “L’isola che non c’è”.

Un posto magico, la cui attrazione è generata dall’assurdità che sopraggiunge rispetto alla gestione e alla considerazione opposta di temi che tutt’ora ci riguardano.

La celebrazione della moralità di Utopia, onnipresente, è così ideale da risultare surreale. Ancora non riesco a capire se mi susciti invidia o repulsione, sensazioni opposte quanto complementari, che rispondono perfettamente al principio perno dell’opera.

Come è strana la considerazione dell’amore, un sentimento che deve tendere all’eterno tra due sposi (tra i quali è concesso il divorzio praticamente solo quando avviene adulterio e uno dei due è punito con la schiavitù), e che deve legare, insieme all’onore, la famiglia, disposta allo sterminio in battaglia piuttosto di tornare dal campo senza un membro. Come è strana per me, che vivo una realtà in cui il matrimonio medio dura quindici anni (di cui chissà quanti passati davvero amandosi) mentre due persone che si amano profondamente e non portano un anello al dito non possono assistersi in ospedale perché non legate da un atto di legge.

Come è strano l’altruismo, la comunione e la concezione della giustizia. Come è strano per me che vivo esattamente nello stesso panorama descritto nella prima sezione da Itlodeo in cui padroneggia “la miserabile avidità di pochi che ha così tanto rovinato ciò che rendeva questa vostra isola felice” (riferendosi più specificatamente all’Inghilterra) e in cui “la giustizia è più appariscente che effettivamente utile e giusta”.

Come è strana la considerazione dell’uomo “unito a tutti gli altri per natura”, che viene preservato dalla guerra, che si disgusta di fronte alla caccia e ai vizi.

Come è strano l’uomo che disprezza l’oro, che vive solo secondo virtù, che è fedele, non ruba, che condivide tutto e non si preoccupa della proprietà privata.

Come è strano l’uomo privato del suo essere uomo.

Ad Utopia sono affezionata: mi ha fatto uscire dalle pareti bianche della mia camera per fare un giro qua e là, mi ha lasciata bere l’acqua fresca e pulita dell’Anidro e ha permesso di confondere i miei occhi tra le semplici e geometriche bellezze di Amauroto, come fossero rispettivamente la fonte della montagna da cui bevo tutti gli anni da quando sono bambina e la Firenze meravigliosa nella quale solo l’anno scorso mi perdevo spensierata.

Grazie Utopia, perché nel tuo non esistere, mi hai permesso di apprezzare il suono della sveglia al mattino per sentirmi parte dell’isola gigantesca quale è il mondo.


Alice Roffia IVA


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